Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala grande del Teatro Stabile Sloveno. 28 e 29 novembre 2017
La bellezza e la potenza di miti e di idiomi arcaici come il greco è data anche dal loro essere “globali”: i personaggi e i termini linguistici hanno spesso in sé caratteristiche e significati molto diversi, a volte anche opposti. Ciò li rende riccamente ambigui e quindi meravigliosamente densi. Apollo, di cui Medea è nipote, è ad esempio dio del sole e delle arti, della musica e della profezia, della poesia e delle arti mediche, ma anche delle pestilenze e della scienza che illumina l’intelletto.
Assistere a una tragedia greca permette così di essere immersi in un mondo che continua a nutrire l’animo con suggestioni universali ed eterne e la cornice del Teatro Stabile Sloveno bene si presta, con il palcoscenico della sala grande ampio, curvo e basso, molto vicino alle prime file dei posti di platea. Opportuna quindi la scelta di questa ospitalità data al Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia per uno spettacolo presente nei cartelloni di entrambe le sale triestine.
Daniele Salvo ha deciso di riprendere filologicamente la regia che Luca Ronconi fece della tragedia di Euripide mantenendo fisso anche l’attore principale, Franco Branciaroli, cui era stata affidata la parte protagonista.
Una scelta simile, liberata del sensazionalismo dell’edizione di allora, permette oggi di superare gli inevitabili riferimenti alla condizione femminile dell’antica Ellade, mantenuta in altre epoche e viva pure oggi. Offre anche la possibilità di non focalizzarsi troppo sulla pur presente idea dell’Altro, del diverso proveniente da culture lontane da quella dominante.
In un’interpretazione dai toni molto forti e costantemente sopra le righe derivante anche da un uso flessibilissimo della voce, Franco Branciaroli fa piazza pulita di tutti questi primi e più superficiali tratti della personalità di Medea facendo emergere piuttosto la furibonda reazione di una forza primigenia, offesa e mortificata dall’arroganza manipolatoria di un “eroe” sulla carta divenuto tale soltanto grazie agli incantesimi e agli stratagemmi altrui.
Come aveva potuto pensare, un semplice essere umano qual è Giasone, di poter impunemente usare a piene mani le arti di una potentissima maga, farla sua, avere da lei due figli (interpretati da Matteo e Raffaele Bisegna) e poi, come se niente fosse, gettarla via per convolare a più convenienti nozze regali?
In che modo aveva potuto immaginare, avendola vista all’opera, che le leggi di una città ospite lo potessero proteggere dalla furia scatenata di una figlia di re, parente di Circe ed Ecate, padrona come pochi delle arti magiche e fine conoscitrice dei segreti che regolano le forze della terra e della natura, siano esse creatrici o distruttrici?
In tale ruolo Alfonso Veneroso mette bene in luce la natura vile di Giasone, l’abilità menzognera di un vero maestro della simulazione dotato di una non trascurabile violenza verbale e psicologica in grado di ingannare facilmente qualsiasi donna. Ma Medea non è una persona comune: è capace, per riuscire a distruggere definitivamente il marito, ad uccidere i propri figli pur di negargli qualsiasi possibilità di discendenza. Cosa può essere peggiore per un uomo del vedere che il proprio nome non avrà alcun futuro e che sarà riconosciuto dai posteri come unico responsabile della fine della propria dinastia?
Ovviamente, seguendo questo disegno, anche la fidanzata Creusa che come si conviene a una principessa greca mai appare, verrà uccisa dal peplo avvelenato donatole dalla prima moglie. La sua morte verrà annunciata da un uomo, interpretato da Tommaso Cardarelli.
Si rende così evidente che quando l’umanità provoca, offende e umilia ciò che è vicino al divino, verrà inevitabilmente sconfitta e patirà innumerevoli sofferenze.
Ben altro accade a chi si dimostra pio e, come Egeo (Livio Remuzzi), va in pellegrinaggio per supplicare all’oracolo di Febo (altro nome di Apollo) un responso favorevole alla propria paternità e che avrà soddisfazione, nella sua sosta a Corinto, proprio tramite la principessa della Colchide, abilissima nel provocare anche la vita e non soltanto la morte.
L’ambientazione di scene e costumi (rispettivamente di Francesco Calcagnini riprese da Antonella Conte e Jacques Reynaud ripresi da Gianluca Sbicca) situa la vicenda nei primi decenni del Novecento favorendo così una percezione di una Corinto mafiosa, con a capo un conseguente re Creonte, reso con efficacia da Antonio Zanoletti.
La nutrice (Elena Polic Greco) e il coro femminile delle donne di Corinto (Francesca Mària, Serena Mattace Raso, Odette Piscitelli, Elena Polic Greco, Alessandra Salamida, Elisabetta Scarano, Arianna Di Stefano) partecipano solidali alla sofferenza di Medea, ne seguono le vicende con passione confrontandole con la propria condizione, questa sì tipicamente femminile, governata dalla discriminazione, dalla chiara consapevolezza di non essere considerate esseri umani, utili soltanto per procreare e costrette a una vita di segregazione e di soprusi.
Paola Pini