“La Damnation de Faust”. Un Faust in felpa e cappuccio e un Mefistofele narciso

Data:

Opera di Roma, fino al 23 dicembre 2017

E se il dottor Faust invece di essere medico e teologo fosse un giovanotto in felpa con tanto di cappuccio e jeans? E Mefistofele invece di avere fattezze sataniche fosse un raffinato signore in giacca e pantaloni bianchi che si bea nella devozione di se stesso? Ci troveremmo davanti a La Damnation de Faust di Hector Berlioz, allestita dopo più di 60 anni al Teatro dell’Opera di Roma per la prima attesissima della stagione lirica 2017/2018 in scena fino al 23 dicembre e firmata dal “rivoluzionario” regista  Damiano Michieletto felicemente travolto dalla bacchetta di uno dei direttori d’orchestra più affermati del momento, Daniele Gatti.

Più volte si è detto che l’operazione sarebbe stata rischiosa: une leggenda drammatica, un’opera da concerto come la definì lo stesso Berlioz e un soggetto – ripreso liberamente dal capolavoro romantico di Goethe – che difficilmente si presta alla composizione in musica, “un poema di una certa estensione – spiega nella prefazione al libretto il compositore francese – scritto per non essere cantato”.

Damnation de Fasut_Goran Juric (Brander)_ph Yasuko Kageyama-Opera Roma 2...Di coraggio dunque ce n’è voluto anche per la scelta registica dal gusto cinematografico a tratti “social”  che trasla personaggi, spazi e tempo in un’epoca  contemporanea fatta di giovani discotecari omologati in maschera bianca (non di contadini, elfi e gnomi), di bullismo e soprusi, di abbandoni e solitudini che hanno il sapore tristemente vero dei giorni nostri. Così Faust – nella convincente interpretazione di Pavel Černoch  – è un bel giovane immerso nelle sue nostalgie, sovrastato da un presente opprimente, fra coetanei che vessano la sua sensibilità: e questo Faust non trova conforto in Dio (a dire il vero l’immagine di Cristo qui non compare mai) ma nei ricordi di un’infanzia tenera e carezzevole. Le  proiezioni e una steady-cam che segue i protagonisti sulla scena fanno il resto: la scelta di usare un linguaggio teatrale ma anche  cinematografico è vincente. La telecamera indugia sui dettagli che mai lo spettatore vede rivelando una cura particolarmente raffinata sulla drammaturgia di questo allestimento – in coproduzione con Palau de Les Arts Reina Sofia di Valencia e Teatro Regio di Torino – ma anche costringendo lo spettatore ad immedesimarsi nei protagonisti della vicenda.

Non sempre convince invece la scelta di forzature nella trama che stride talvolta con il libretto originale ma,  certamente nel quadro generale, sono compromessi che si possono perdonare.

Mefistofele interpretato da Alex Esposito è altrettanto efficace: bianco e candido come tutta la scena che esplode di luce con due lunghi corridoi che ricordano quelli delle sale operatorie e sovrastata da un intero piano in cui è seduto il coro, questo signore si specchia nelle inquadrature della telecamera in scena, si piace, si delizia della sua tentazione e della sua bravura di serpente tentatore celato solo fino a quello che dovrebbe essere il primo atto (perché qui non è previsto intervallo). Improvvisamente la scena si riempie di leoni e cespugli in un cambio di scena a vista, le proiezioni fanno il resto: è il Giardino dell’Eden di Cranach che Michieletto sceglie per l’ambientazione del suo ”Paradisus”, il locale dove finalmente scoccherà l’amore maledetto fra Faust e Margherita, che aveva già fatto capolino inizialmente in una delle tante visioni premonitrici del giovane Faust alla ricerca della felicità. Il trash e il kitch prendono il sopravvento e Mefistofele, seguito dalla telecamera, svela il suo volto: le truccatrici lo riempiono sotto gli occhi di tutti di cipria verde e il bianco doppiopetto diventa un terribile costume di anfibio con tanto di coda.

In questo luogo Margherita, la donna, nel suo vestito rosso sangue incontra davvero per la prima volta Faust, l’uomo. Ma è impossibile non citare i due bambini che rappresentano gli incontri “destinati” tra i due amanti e che già si sono sfiorati in una toccante scena su un asse d’equilibrio mentre per avvicinarsi l’uno all’altra rischiano continuamente di perdere l’aplomb.

Fra apparizioni di bare bianche, chiavi di porte che si apriranno troppo tardi, si consuma il dramma di un patto firmato con un inchiostro vischioso, denso e nero come il sangue satanico. Dall’acqua di un catino che sembra pura nel rito traditore di Mefistofele mesto che lava e bacia ai piedi alla sua vittima sacrificale di cui è segretamente  innamorato, Faust cede e sottoscrive il patto che sancirà la sua fine. Qui non è Margherita a soccombere ma  Faust. Lei sarà  l’altra martire sottoposta alla violenza carnale di un Mefistofele in preda al delirio del desiderio.

Sulla scena bianca scende lentamente un telo nero che ricorda proprio quell’inchiostro scagliato ovunque da Mefistofele sulla scena, sui volti, sui vestiti. Al calar del nero diabolico quella che dovrebbe essere l’ascesa di Margherita (qui di Faust per la verità) è una poesia di candele che illuminano l’oscurità nella musica celestiale suonata da un’orchestra capace ancora una volta di un’esecuzione intensa, che sottolinea con  dinamiche estreme  le sonorità dense e delicate richieste dalla partitura di Berlioz.

 Azzurra Di Meco

La damnation de Faust

Musica di Hector Berlioz

Leggenda drammatica in quattro parti
Libretto di Hector Berlioz e Almire Gandonnière
da Johann Wolfgang Goethe tradotto in francese da Gérard de Nerval

 

Prima esecuzione in forma di concerto
Parigi, Opéra-Comique, 6 dicembre 1846

Durata: 2 ore e 5 minuti ca (senza intervallo)
DIRETTORE
 Daniele Gatti
REGIA
 Damiano Michieletto
Maestro del coro Roberto Gabbiani
Scene Paolo Fantin
Costumi Carla Teti
Luci Alessandro Carletti
Video Roca Film
Movimenti mimici Chiara Vecchi
Interpreti
Faust Pavel Černoch
Méphistophélès Alex Esposito
Marguerite Veronica Simeoni
Brander Goran Jurić
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Nuovo allestimento
in coproduzione con Teatro Regio di Torino e Palau de Les Arts Reina Sofía di Valencia
in lingua originale con sovratitoli in italiano e inglese

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