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“Mangasia”: un continente a fumetti

Data:

Palazzo delle Esposizioni, Roma. Fino al 21 gennaio 2018

Quando si parla di fumetti asiatici è quasi inevitabile pensare subito a quelli giapponesi, i manga, conosciuti e letti in tutto il mondo, o, al massimo, ai manhua cinesi e ai manhwa sudcoreani, affermatisi successivamente in occidente sulla spinta del fenomeno manga. Ma l’Asia, continente enorme e caleidoscopico, ha una cultura del fumetto profonda e radicata in maniera pressoché ubiquitaria. Ancorché sconosciute, all’ombra della più prestigiosa e importante scuola giapponese sono sorte nel tempo scuole minori che rappresentano un aspetto culturale tipico e importante dei rispettivi paesi d’origine, come quella dei komiks filippini o quella dei cergam indonesiani.

Mangasia”, curata dallo scrittore e specialista Paul Gravett insieme a un gruppo di oltre venti esperti, è una mostra innovativa che si pone un obiettivo tanto ambizioso quanto inedito: raccontare la storia del fumetto asiatico dalle origini al presente, prendendo in considerazione sia il Giappone che le “zone d’ombra”, ossia i territori sconosciuti al grande pubblico, adottando un approccio al tempo stesso artistico e antropologico. A tale scopo, l’allestimento propone  tavole originali e volumi provenienti da: Cina, Corea del Sud, Corea del Nord, Hong Kong, Taiwan, Singapore, Filippine, India, Indonesia, Malesia, Thailandia, Sri Lanka, Vietnam, Cambogia, Pakistan, Bangladesh, Timor Est, Bhutan e Mongolia (spero di non averne saltato nessuno!). Un bel tour del continente, anche se la parte del leone spetta comunque –legittimamente-  al Paese del Sol Levante.

Attraverso le sei sezioni tematiche (con relative sottosezioni corredate di testi esplicativi), partendo dalla nascita del manga giapponese nel novecento per arrivare ai giorni nostri, la mostra esplora l’universo fumettistico asiatico mettendone in evidenza gli aspetti storici, culturali e umani, che aiutano a contestualizzare le opere in rapporto alla situazione politica, economica e sociale delle varie nazioni. Si comincia, dunque, dalla genesi del manga in Giappone, che deve molto all’apertura culturale e commerciale del Paese verso il resto del mondo nella seconda metà dell’ottocento, apertura che ha favorito l’incontro e la contaminazione con la cultura occidentale (Stati Uniti e Gran Bretagna soprattutto); dalla mescolanza tra quest’ultima, con le sue pubblicazioni umoristiche (come la rivista satirica inglese Punch), e la tradizione pittorica giapponese, in particolare quella del Mondo Fluttuante, o ukiyo-e, di artisti del calibro di Kuniyoshi Utagawa e Katsushika Hokusai, che per primi inseriscono testi a corredo delle loro silografie (anticipando e ispirando, di fatto, la struttura narrativa dei fumetti), nasce il manga; tale termine, peraltro, è stato reso celebre proprio da Hokusai, che così ha intitolato i quindici volumi (uno dei quali esposto a “Mangasia”) della sua corposa raccolta didattica di schizzi e bozzetti, pensata come un vero e proprio corso di disegno rivolto a tutti, sia esperti che profani. Oltre a opere dei primi grandi artisti del manga, come Osamu Tezuka (soprannominato “il Dio del manga”), si possono ammirare quindi anche alcune silografie ottocentesche in stile ukiyo-e dei “precursori”, che mostrano inequivocabilmente la loro influenza sulla successiva arte del fumetto nipponico.

Ma, come già detto, “Mangasia” va oltre il movimento giapponese e il suo grande successo artistico e commerciale per approfondire il fumetto asiatico in tutte le sue sfaccettature, evidenziandone le molteplici implicazioni umane e sociali: il fumetto come autobiografia, celebrazione nostalgica, ricordo; il fumetto come racconto storico, denuncia, controinformazione, rievocazione di pagine di cronaca nazionale rimosse dalla memoria collettiva, alterate a causa di censure e manipolazioni da parte del potere o poco note e a rischio di oblio (in India, per esempio, è stato realizzato un fumetto sul disastro ecologico di Bhopal,); all’opposto, il fumetto come propaganda al servizio del potere (con esempi da Corea del Nord e Cina); il fumetto come celebrazione degli eroi nazionali, celebrazione che può essere realistica oppure mitologica; il fumetto come espressione del credo religioso e rielaborazione delle tradizioni popolari di una nazione (leggende, favole, epopee, spiriti e fantasmi del folclore); il fumetto al femminile: le principali autrici e le pubblicazioni rivolte espressamente alle donne; il fumetto come trasgressione (gli horror e i pulp) e liberazione da tabù e convenzioni sociali (i fumetti erotici, discendenti degli shunga realizzati tra il XVII e il XIX secolo, e quelli che raccontano senza paura l’altra sessualità, comunemente considerata “proibita” dalla società), a volte nei limiti imposti dalla censura, in altri casi oltre (tramite astuti espedienti stilistici).

Leiji-Family-Leiji-Matsumoto-Palazzo-esposizioni-Roma-660x330Dei fumetti viene preso poi in considerazione anche il processo creativo, con l’esposizione di schizzi, sceneggiature, storyboard, e perfino un tavolo da lavoro originale, oltre che con la proiezione su schermo di un paio di episodi della serie di documentari sui manga Urasawa Naoki’s Mamben (uno dei quali dedicato al mangaka Katsushiro Fujita, creatore di Ushio e Tora). L’ultima parte del percorso espositivo è dedicata ai grandi eroi del fumetto (come Ken il guerriero), al rapporto tra il fumetto e gli altri media (cinema, letteratura, televisione, musica, internet), oltre che alla nuova frontiera del fumetto multimediale, sganciatosi dal tradizionale supporto fisico cartaceo (e dalla dimensione “orizzontale”) per approdare in rete in formato “verticale“ (leggibile scorrendo le vignette dall’alto in basso), o direttamente sullo smartphone, come nel caso dei webtoons sudcoreani. Presenti anche uno spazio dedicato ai grandi autori che hanno saputo eccellere sia nel fumetto che nell’animazione (come Otomo, Matsumoto e Miyazaki), oltre a una sezione rivolta a fenomeni “collaterali” come il cosplay. Nell’ultimissima stanza dell’esposizione si può inoltre provare anche il brivido di manovrare, grazie alla tecnica del body tracking, l’avveniristico Mechasobi, un mecha (“robottone” tipico di un prolifico filone di manga e anime) interattivo dietro al quale c’è la firma dello specialista Shoji Kawamori (autore del celebre Macross). Insomma: davvero tanta roba (il mio personale tour è durato circa quattro ore…)!

Concludo con una rapida selezione delle chicche esposte a “Mangasia”: del grande Jiro Taniguchi, scomparso proprio all’inizio del 2017, sono osservabili quattro tavole originali del capolavoro L’uomo che cammina, oltre a sei tavole de La vetta degli dei e alla copertina originale di Quartieri lontani; molto spazio anche per il padre nobile del manga Osamu Tezuka, di cui si possono ammirare tavole e volumi di opere quali Kimba, Buddha, Dororo e Lemon Kid, oltre a una splendida illustrazione originale dedicata ad Astro Boy; alcune illustrazioni dell’opera Pather Panchali (che ispirerà poi il suo film d’esordio) e una copertina per un fumetto realizzate dal grande regista indiano Satyajit Ray che, prima di dedicarsi al cinema, ha mosso i primi passi nel mondo dell’arte in qualità di illustratore; una splendida illustrazione originale da Ghost in the shell di Masamune Shirow; il primo volumetto in edizione originale giapponese di Ken il guerriero; la ricca sezione dedicata alle opere ispirate al Ramayana e al Mahabharata, i due principali poemi epici dell’induismo; alcune tavole dei fenomeni commerciali Detective Conan di Gosho Aoyama e One Piece di Eichiro Oda; due bellissimi kaavad (santuari portatili in legno) dei cantastorie indiani del Rajasthan; un volumetto originale di Dragon Ball, affiancato ad altre opere ispirate, come quest’ultimo, al classico della letteratura cinese Viaggio in Occidente; una tavola del fumetto grottesco Elmer dell’autore filippino Gerry Alanguilian; una corposa selezione di opere horror thailandesi; alcune tavole di Sunny, di Taiyo Matsumoto; due illustrazioni originali del geniale Hiroiko Araki, autore della serie di culto Le bizzarre avventure di Jojo.

Francesco Vignaroli

 

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