Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala Bartoli. Dal 17 al 22 aprile 2018
Può uno spettacolo costruito secondo i canoni del cabaret raccontare in modo adeguato una tragedia della nostra epoca, indegna e vergognosa al punto da urlare vendetta al Cielo?
Renato Sarti e Bebo Storti, ne La nave fantasma, uniscono con abilità drammaturgica momenti molto seri, di vera e propria testimonianza, ad altri più sarcastici e leggeri dimostrando con chiarezza che se l’idea nasce da una profonda indignazione e si sviluppa nel più alto rispetto nei confronti delle vittime, tale operazione non è soltanto ammissibile, ma forse anche la più adatta per far arrivare al pubblico l’immensità dell’indicibile.
Nella notte del Natale 1996, più di vent’anni fa, 283 persone provenienti dal Pakistan, dall’India e dallo Sri Lanka morirono affogando nelle acque internazionali fra Malta e la Sicilia al largo di Portopalo.
Fu allora la più grande strage in mare avvenuta dopo la Seconda Guerra Mondiale, colpevolmente nascosta per anni sotto un pesantissimo silenzio omertoso che coinvolse indistintamente tutti: i primi testimoni, gli amministratori, le forze dell’ordine, i politici.
Il maligno incantesimo si spezzò nel 2001 grazie all’inchiesta del giornalista Giovanni Maria Ballu (coautore della messinscena), che sulle pagine de La Repubblica pubblicò il ritrovamento del relitto della Friendship, il barcone di legno che era affondato dopo essere stato probabilmente speronato dalla più grande Iohan, la nave che aveva a sua volta trasportato quelle persone fino a lì e dalla quale erano state costrette a trasbordare per avvicinarsi più facilmente alla costa italiana.
Fino a quel momento se ne era parlato come di un “presunto naufragio” e i testimoni sopravvissuti, che pochi giorni dopo la strage cercarono di parlare del disastro, non furono creduti. Nel frattempo i corpi cominciavano ad affiorare e, tirati a bordo con le reti assieme al pescato, venivano immediatamente ributtati in acqua per evitare il fermo delle imbarcazioni che la lenta burocrazia avrebbe imposto, provocando così pesanti danni economici ai pescatori della zona.
Lo svolgimento della vicenda si sviluppa in modo solo apparentemente caotico dai due attori che giocano molto su una brillante improvvisazione che si potrebbe definire jazzistica, costruita su basi molto stabili e coinvolgendo alcuni spettatori invitati di volta in volta a partecipare all’azione in scena che si fa poco a poco sempre più complessa e drammatica.
“La risposta dell’Unione Europea deve essere una vera politica dell’immigrazione…Tragedia come questa lasciano senza parole…Il mondo dei paesi ricchi ha ancora molto da fare per evitare che simili tragedie si ripetano…provo un sentimento di dolore profondo e di sgomento…”
Queste frasi sono solo alcuni sintetici esempi di quel che i politici nazionali ed europei dissero nel giugno 2001, poco dopo il ritrovamento della Friendship.
Sono passati più di vent’anni dal Natale 1996. Ora avviene che chi si prende la briga di aiutare anziché essere additato come esempio da imitare, viene denunciato. Una volta ancora i “mai più” si sono sprecati e da essi non abbiamo saputo trarre le necessarie e doverose conseguenze.
Cosa mai ci deve capitare per riuscire ad attivare in noi qualcosa che assomigli anche vagamente a quella che ci ostiniamo a definire “umanità”?
Paola Pini