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NON LAVATE IL MIO SANGUE DAL MURO. Poema drammatico di Enrico Bernard

Data:

NON LAVATE IL MIO SANGUE DAL MURO

di ENRICO BERNARD

dialogo po-eticamente
e politicamente scorretto

a Carlo Giuliani
e alle vittime della Diaz
LUI:
Sono io quello che ha fatto spogliare la ragazza
e le ha infilato il manganello tra le cosce
ridendo ed incitando i miei colleghi
a calarsi i calzoni per fotterla sul pavimento,
davanti a tutti, per darle una lezione,
a quella zoccola, che mi guardava
con gli occhiucci da cerbiatta smarrita
come se non avesse capita la situazione
e stesse vivendo una specie d’incubo,
il sogno di una notte di luna piena
che risveglia i licantropi dalle tombe.

LEI:
A Genova c’era la luna piena,
avevamo danzato al fuoco dei faló
accesi, non perché facesse freddo,
ma per stringerci tutti insieme
in una specie di abbraccio corale
e sentirci piú belli dentro, migliori,
poi non stavamo facendo del male
e il circo della violenza era passato
su di noi come un rullo compressore
annientandoci, svuotando il senso,
ai nostri stessi occhi, della lotta.

LUI:
Sono io colui che ha fatto sdraiare la ragazza
e le è salito sulla schiena nuda con lo scarpone
schiacciandole il corpo a terra, imprimendole
sulla pallida e trasparente pelle un marchio
d’infamia, il profilo della suola, a quella troia,
che poteva starsene a casa a Roma, magari
a fare i pompini al suo ragazzo, invece di venire
a rompere i coglioni, a gridare siamo stanchi
di vedere i potenti della terra spartirsi il mondo
come se fosse, ma capite la follia?, cosa loro.

LEI:
Dovevamo essere pazzi ad andare allo sbaraglio
armati soltanto di fischietti e di chitarre,
di bandiere colorate e di tamburelli stonati,
per cantare la nostra rabbia che rabbia non era
ma paura per un futuro disperato come l’orizzonte
improvvisamente oscurato da una nube nera
come lo spruzzo di petrolio dal buco nella sabbia.
Dovevamo proprio essere pazzi ad avanzare allegri
verso altri ragazzi in divisa che sarebbero dovuti
stare dalla nostra stessa parte, perché erano belli
e giovani come noi, i poliziotti, e sembravano eroi.

LUI
Sì: sono io quello che ha infierito col manganello
sulla schiena della ragazza che non si muoveva
ma soltanto a tratti gemeva al sordido tonfo
dei colpi che battevano il suo corpo che pareva
piú morto che vivo. E le dicevo: ti piace troia, eh?
Non dirmi che non ti piace il trattamento a te
riservato da chi ci ha un paio di coglioni
dentro i pantaloni, finalmente puoi sentire,
troietta, il manico di scopa dentro la fichetta.
Ma che ti credevi, stronza puttana, non lo sai
che adesso facciamo ció che vogliamo?

LEI
Eravamo felici per quella giornata di sole
e per quell’aria che ci circondava, di festa:
era piú una passeggiata che una protesta;
e mai avremmo immaginato che le parole
da noi scandite quasi cantando una canzone
potessero essere interpretabili come sedizione,
perché in fin dei conti per noi la rivoluzione
è una forma di nuova convivenza tra persone
e non un tentativo violento di sovversione:
non avevamo capito, nella tipica ingenuitá
della nostra età, che volevano spezzare
i sogni di un’intera generazione.
LUI
Sissignore, sono io colui che ha detto alla ragazza
di tenere gli occhi bassi e le ha mollato un ceffone
a quella cagna in calore, come avrebbe dovuto fare
il padre invece di mandarla a mettersi nei casini
coi suoi amichetti, ai quali avrá pure fatto pompini.
E allora se ci sei abituata a prendere il cazzo in bocca,
perché non succhi pure il mio, cosí potrai sentire
il sapore dell’uomo vero che indossa la divisa…
non dire una parola, mignottella, non sei degna
di guardare il distintivo su cui è scritto il motto
“Despondere spem munus nostro” – che tradotto,
…non lo so, comunque è latino, la lingua del Duce.

LEI
Mi fecero entrare in una stanza senza luce,
ero nuda, avevo freddo, mi dovetti inginocchiare,
le mani dietro la schiena, davanti ad un poliziotto,
– lo riconosco, è lui, signor Giudice, quello lì –
lessi il motto in latino inciso nello stemma
argento, azzurro e rosso, con la corona d’oro:
“garantire la speranza è il nostro compito”
e lui mi ha dato un altro schiaffo urlando:
“Non ripetere qui dentro i vostri slogans!”
Ma non era un nostro slogan, era la traduzione
della frase latina sullo stemma della sua divisa!
Scoppiai in una risata isterica, in realtà piangevo
per il dolore e la paura…allora persi i sensi.

LUI
La veritá, signor Gudice, è che si trattava delle prove
del colpo di stato, ora che il fascismo in “doppiopetto”
era finalmente al potere, gliela dovevamo far vedere
ai bastardi comunisti, alle merde e alle zecche anarchiche.
Prima peró bisognava testare le reazioni internazionali,
come si sarebbero comportati i nostri partners europei,
cosa avrebbe scritto la stampa mondiale? La questione
era se potevamo procedere, sfruttando il clima di paura
generato dal terrorismo, a far passare quella che è stata
definita la sospensione temporanea della democrazia,
come una parentesi necessaria della sicurezza. Tuttavia
c’era in ballo qualcosa di piú grosso: l’abolizione dei diritti
democratici, il ritorno allo Stato Assoluto, la fine della libertà.

LEI
Garantire la speranza era il loro compito, e quel motto
che noi pure avevamo scritto sulle nostre bandiere
della pace coi colori dell’arcobaleno e del sole che ride,
dovrebbe essere tradotto dal latino in italiano sulle loro
divise, affinché lo possano capire e condividere
anche coloro che si sono macchiati dei pestaggi
e delle violenze subite da centinaia di persone
che in una notte sola hanno visti traditi gli ideali
e quei valori della resistenza su cui si fonda la nostra
convivenza civile, per questo imploro a muso duro:
non lavate mai il mio sangue da quel muro.
LUI
Adesso, signor Giudice, non ci capisco più niente!
Sarei io, che rappresento la legge, il delinquente?
Ma allora, se così stanno le cose, siamo alla mercé
di chi fa casino senza sapere neppure perché.
Io ho semplicemente difeso l’ordine costituito,
no, anzi, a pensarci bene, ho solo obbedito
all’ordine che quella notte mi venne impartito.
Io con le botte e violenze non c’entro niente,
glielo giuro signor Giudice, sono innocente…
dove andremo a finire se neanche uno schiaffo
si può più dare a chi al suo posto non ci sa stare?
Perché non insegnare un po’ di educazione
a questi figli di papà che rompono le vetrine
e danno fuoco alla città chiamando ribellione,
– di stronzi a fare danni bastano poche decine, –
i loro atti d’inciviltà contro le persone
che non la pensano così e devono subire?

LEI
Quando sono comparsi i blackblock coi visi coperti
pensammo che sarebbero intervenute a nostra
protezione le forze dell’ordine che erano lì apposta,
perché sapevano che ci sarebbe stata la provocazione.
Invece li hanno lasciati fare, sembravano impauriti,
e poi quando il nostro servizio d’ordine è riuscito
a ristabilire, insolandoli, una normale situazione
non si capisce perché si è scatenata la Polizia
urlando di sgombrare la strada, andarcene via,
ma noi, anche volendo, non avevamo vie d’uscita
e allora hanno cominciato con violente cariche,
donne e anziani travolti con le ruote e gli scarponi,
mentre quelli col passamontagna si erano nascosti
proprio perché i poliziotti non si erano frapposti
tra noi e loro, separando i cattivi dai buoni
come è prassi fare in tutte le manifestazioni.

1LUI
Quando sono arrivati dalla Diaz dopo le irruzioni
della Polizia, beh… non erano in buone condizioni.
Noi gli abbiamo solo dato qualche scappellotto
a quelle merde che volevano un altro Sessantotto.
Esagera chi parla di umiliazioni e violenze inaudite,
abbiamo solo dato una scrollata alle loro vite…
e che sarà mai una scalfittura con il cacciavite!

LEI
Nella caserma Bolzaneto molti giurano d’aver visto
un uomo in divisa di carabiniere, un alto ufficiale,
evidentemente addestrato alla tortura mentale,
oltre che fisica, disse che mi avrebbe dovuto sputare
nella fica perché avevamo ammazzato un suo collega,
ma la notizia non era vera, l’hanno fatta girare
per aizzarli ancora di più contro di noi che, inermi,
eravamo solo a conoscenza della morte di Carlo,
il ragazzo che con l’estintore si era scagliato
contro la folle corsa di un mezzo blindato
certo mandato a cercare il morto ammazzato:
ci dissero che era stata una vera esecuzione,
che per noi stava già preparandosi il plotone,
che i tempi finalmente erano cambiati
e che dai guai nessuno ci avrebbe più cavati.

LUI
Consenta signor Giudice una spontanea dichiarazione,
per chiarire che per ogni azione, qualcun altro approva.
Il ministro degli Interni ai tempi dei fatti di Genova
era, il nome lo sappiamo, quello della casa compratagli
dalla “cricca” a sua insaputa, coinvolto in tanti casi
di corruzione come tutti i politici: ci penso e quasi
mi viene da piangere per aver difeso il sistema.
Al potere c’era anche lo sdoganatore del fascismo,
ha dato lui la “dritta” di ripulire la piazza-salotto
dal look rifatto per accogliere i potenti del G-8,
dai contestatori dello sviluppo economico,
che poi si è rivelato una fregatura. Per questo oggi
mi è facile riconoscere che forse quei ragazzi
avevano qualche ragione, e non erano dei pazzi:
anch’io ho perso soldi con la crisi delle banche
e mio figlio non riesce ad accendere un mutuo.
Perciò mi rammarico di quello che ho compiuto,
perché le vere merde non eran le zecche puzzolenti,
ma quelli in alto che sono ben altri delinquenti.

LEI
L’attuale capo della Polizia, ha chiesto scusa
dopo che ci hanno seviziato coi manganelli…
Mi domando se un fatto così grave che coinvolse
i vertici dello Stato, e non fu solo un caso isolato,
possa essere archiviato con le “scuse dovute”
e non con condanne esemplari della catena di comando
che partiva dall’alto, affinché non sia dimenticato.

LUI
Nel fare giustizia le chiedo di tener conto della situazione
in cui fummo costretti, sì, perché da lì non si scappava,
o stavi da una parte o eri amico dei comunisti di merda,
ebbene se in quella situazione, in cui ci venivano fornite
notizie artatamente false sui nostri feriti, sui nostri morti,
al solo fine di confonderci le idee e oscurarci le menti,
pur non giustificando le nostre violenze sugli inermi,
non sia da approfondirsi in questa sede ulteriormente
al fine di accertare tutte quante le responsabilità
che coinvolgono, mi spiace dirlo, le massime autorità.
Signor Giudice, c’è ancora molto da dire – e da capire.

LEI
Anche se l’inchiesta è chiusa, il processo continua: la Storia
penserà a riaprire la vicenda e a rinfrescare la memoria
di una giovane vita spezzata, della democrazia annullata,
violentata ed offesa. Ed anche se qualcuno si chiede
che diritto aveva Carlo Giuliani di usare come ariete
un estintore vuoto, ebbene la risposta è che il carabiniere
che ha sparato è a sua volta vittima di un sistema
che gli ha armato la mano, perché ci scappasse il morto,
il morto serviva, come serve sempre all’ordine costituito
la bomba di fantomatici anarchici, la minaccia brigatista
per far esplodere nel paese la violenza fascista.

LUI
Davvero, signor Giudice, credo di non esserci stato
nella caserma Bolzaneto in quei giorni di sangue,
altrimenti me lo ricorderei molto bene, si figuri,
anche io ho dei figli, sono giovani come gli altri,
e mi contestano pure, pensi che il più grande
che ha vent’anni mi ha chiesto perché faccio
il poliziotto correndo tanti rischi per il lurido
stipendio che mi arriva, e mai basta, a fine mese.
Almeno se t’ammazzano mi faranno far carriera,
come il figlio del commissario ucciso dai brigatisti
con strana tempistica, quando stava per svelare
la verità sulla fine di Pinelli nella Questura milanese:
ebbene, il figlio ora dirige un giornale borghese…
Già, il padre fu santificato non senza ipocrisia,
perché era, lo sapevano tutti nella Polizia,
lo specialista d’interrogatori della Squadra Politica…
ed ora mi processate per una toccatina di fica?

LEI:
Signor Giudice, che vuole che le dica?
I fatti parlano da soli, e ormai la memoria
si fa barlume di ciò che resta nella Storia:
non lavate questo mio sangue dal muro,
lasciate che i giovani sperino ancora nel futuro.
Un futuro oscuro, senz’altro, molti spettri
sono all’orizzonte, pericoli mortali in agguato,
il diritto al lavoro non più difeso dallo Stato
che anzi è messo in discussione con la tesi
che con l’abolizione dell’articolo diciotto
ci sarebbero più posti di lavoro a disposizione,
il che se permettete è una contraddizione,
perché senza lavoro non c’è sviluppo,
e senza sviluppo c’è solo stagnazione:
il brodo primordiale per la rivoluzione.
E dal momento che con l’economia globale,
la folle idea del pensiero liberale,
è crollata la produzione industriale,
ciò significa che noi avevamo ragione
a protestare, e torto chi ci voleva ammazzare.
…Forse sono stati loro stessi le prime vittime
della loro cieca furia, e la violenza con la quale
hanno creduto di poterci spezzare la schiena
e tappare la bocca, suscita solo un’immensa pena.

VOCE FUORI CAMPO
II collegio presieduto da Giuliana Ferrua
ha confermato 4 anni a Giovanni Luperi
e Francesco Gratteri, 5 anni per Vincenzo
Canterini (all’epoca comandante del Reparto
mobile di Roma, oggi a riposo), 3 anni
e 8 mesi a Gilberto Caldarozzi, Filippo Ferri,
Fabio Ciccimarra, Nando Dominici
(questi ultimi all’epoca dirigenti di diverse
Squadre mobili), Spartaco Mortola
(ex capo della Digos di Genova)….

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