Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Civico Museo d’Antichità “J.J. Winckelmann” (già Civico Museo di Storia e Arte – Orto Lapidario), 8, 9 e 10 giugno; 23-26 agosto e 30-31 agosto; 1 e 2 settembre 2018
Ulteriore esempio della solida collaborazione tra il Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia e il Comune di Trieste, “Morire per quattro monete. Winckelmann: l’ultimo viaggio” è un’ottima occasione per provare quest’esperienza inconsueta e densa di sollecitazioni, coinvolgenti da molti punti di vista, a partire dal sistema tecnologico usato per arrivare alle radici della moderna percezione estetica passando attraverso un’efficace rappresentazione teatrale che ha molto del radiodramma pur essendo realizzata principalmente da attori presenti realmente, di fronte a un pubblico itinerante nell’Orto Lapidario Civico Museo di Storia e Arte cui è stata ridata l’antica denominazione di Civico Museo d’Antichità e dedicato finalmente a Johann Joachim Winckelmann, il “grande storico dell’arte, archeologo e letterato” ucciso per motivi non ancora chiariti esattamente 250 anni fa proprio a Trieste.
Tutto è iniziato con il testo curato da Marzia Vidulli Torlo, funzionario direttivo conservatore presso lo stesso Museo.
Il regista Andrea Collavino ne ha tratto un significativo itinerario drammaturgico che riesce a svolgersi in modo coerente nel tempo e nello spazio offrendo agli spettatori l’occasione di entrare in una cornice nella quale si trova racchiuso un quadro preromantico in movimento, descrizione emotivamente satura degli ultimi giorni di vita di Winckelmann, colui grazie al quale in tempi moderni si reimparò ad amare l’arte classica greca e romana e che insegnò a far coesistere la nostalgia struggente per quel che il tempo e l’uomo distrussero con la beatitudine dell’ammirare quel che ci è rimasto.
La platea per una volta non è fissa: anziché stare seduti ci si muove seguendo, come i bambini il Pifferaio di Hamelin, Andrea Collavino stesso (Domenico Rossetti, colui che aveva fatto realizzare il cenotafio dedicato all’ucciso) assieme a Riccardo Maranzana (Winckelmann) e a Stefano Pettenella (Arcangeli) tra sculture, lapidi e colonne, facendo tappa all’interno del tempietto nel quale è situata la tomba vuota del personaggio protagonista, tra l’altro l’elemento centrale da cui si sarebbe sviluppata nel tempo l’intera raccolta museale.
Non mancano le parole tratte dai suoi scritti, memorie di un viaggio compiuto qualche mese prima, suggestive come i paesaggi che evoca per dar maggior forza alla descrizione di una statua greca conservata al Belvedere romano.
Quando il tempo è bello, grazie alle cuffie del Silent System è possibile ascoltare senza alcun disturbo proveniente da suoni estranei alla messinscena, non soltanto le parole degli attori in carne e ossa ma anche le voci di altri (Filippo Borghi, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Andrea Germani, Francesco Migliaccio, Jacopo Morra, Maria Grazia Plos, Valentina Violo) prestate ai diversi testimoni seguendo le cronache del tempo e quanto riportato negli atti del processo che avrebbe portato alla condanna a morte del reo confesso Francesco Arcangeli.
Come si è detto, non sono a tutt’oggi chiare le reali motivazioni del suo gesto e non va dimenticato che la prima legge di abolizione della tortura nell’Impero Asburgico (praticata non solo dopo la condanna, ma anche in fase di istruttoria) fu emanata nel 1776, in anticipo rispetto ad altre nazioni, ma otto anni dopo l’esecuzione del giovane.
Se piove, l’omaggio rievocativo a Winckelmann si svolge nelle sale del museo, fra le teche in cui sono conservati una parte dei reperti archeologici raccolti nei secoli.
Il linguaggio usato è quello del tempo, perfettamente consono alle atmosfere create in un contesto che richiama alla memoria alcuni scorci del “Viaggio in Italia” di Goethe; accanto si aggiungono suoni e parole, alcune delle quali tratte da testi teatrali classici e da film visionari che ben si attagliano all’intero contesto.
Alla fine si ritorna, ovviamente, alla realtà ma è un “riveder le stelle” nel quale riecheggia ancora, per un po’, quanto appena respirato.
Paola Pini