“Green Book”: Hollywood premia ancora una storia contro il razzismo

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Cinema Signorelli, Cortona. Domenica 3 marzo 2019

A soli cinque anni di distanza – era l’edizione 2014 – dalla vittoria del bellissimo e importante 12 anni schiavo di Steve McQueen come Miglior Film ai premi Oscar, i membri dell’Academy hanno assegnato il riconoscimento più ambito a un’altra pellicola che affronta il tema della discriminazione razziale negli USA, Green Book di Peter Farrelly, mostrando quanto l’argomento sia sempre sentito a Hollywood (che ciò sia riconducibile a una reale coscienza sociale o sia solo “moda” è oggetto di accesi dibattiti presso gli intellettuali e i critici). Mentre il primo, ambientato nell’Ottocento e ispirato a fatti reali, è un dramma che rievoca in maniera diretta e dolorosa la piaga dello schiavismo, il secondo, situato negli anni sessanta del secolo scorso e tratto anch’esso da una storia vera, racconta la vergogna della segregazione razziale nel Sud degli States con uno stile narrativo molto più leggero, diametralmente opposto a quello di 12 anni schiavo.

Green Book si presenta infatti come una commedia on the road dove il dramma è sempre tenuto sullo sfondo, stemperato dalla forza salvifica e catartica della Bellezza (la musica, in questo caso) e da un robusto ottimismo di fondo basato sulla fiducia nei sentimenti “buoni” delle persone. Il film si focalizza sul rapporto umano instauratosi tra il pianista jazz nero Don Shirley e il suo nuovo autista/guardia del corpo, l’italoamericano Tony “Lip” Vallelonga, nell’arco delle otto settimane di durata del tour di Shirley col suo trio nel Sud degli Stati Uniti, territorio, all’epoca, ancora profondamente intriso di pregiudizi nei confronti degli afroamericani e quindi ostile. La sceneggiatura, che annovera tra gli autori il figlio di Vallelonga, Nick, si regge su un classico e infallibile meccanismo narrativo: quello della convivenza forzata di due personaggi appartenenti a mondi opposti che, partendo da una situazione di reciproca diffidenza e incomunicabilità che li tiene a distanza, riescono pian piano ad abbattere le barriere che li dividono e a fare amicizia, imparando l’uno dall’altro e scoprendosi più simili di quanto credessero in partenza. E quale coppia più eterogenea di questa si potrebbe immaginare? Don è un artista ricco quanto snob, che vive rinchiuso nel mondo asettico e solitario della sua “torre d’avorio”, un lussuoso appartamento newyorkese situato proprio sopra la leggendaria Carnegie Hall; Tony appartiene invece al “popolo”, è un rozzo buttafuori che viene dalla strada e fatica ogni giorno per sbarcare il lunario e mantenere moglie e figli, inoltre – particolare niente affatto trascurabile – è fieramente animato da un robusto razzismo nei confronti dei neri. Non c’è che dire: viste le premesse, tra i due non può che verificarsi un incontro/scontro coi fiocchi…

Non sono in grado di valutare se Green Book abbia meritato o meno il premio Oscar come miglior film, non avendo ancora visto tutte le altre pellicole in lizza per la categoria. Quel che posso dire è che, pur non trattandosi di un capolavoro né di un’opera particolarmente originale, il film merita comunque di essere visto, forte di una storia gradevole e ben confezionata, oltre che della presenza di un ottimo Viggo Mortensen che mostra qui tutta la sua versatilità, riuscendo a destreggiarsi bene in un ruolo (quello di Tony) decisamente atipico nel suo percorso artistico.

Francesco Vignaroli

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