Gorizia, Sinagoga, 10 marzo 2019
La tredicesima edizione di ENoArmonie, il Festival in cui “la grande musica da camera incontra i vini d’eccellenza”, prosegue il suo viaggio facendo tappa a Gorizia, nella bella Sinagoga settecentesca di rito ashkenazita in cui il Comune, che ne è proprietario da qualche decennio, ospita idonee attività culturali; la struttura rettangolare della sala del tempio s’incontra con la forma ellittica del matroneo che la sovrasta rendendo naturalmente necessario l’impianto bifocale in base al quale l’Aron-ha-Kodesh, l’armadio che custodisce i rotoli della Torah (il Pentateuco) è posto di fronte alla Bimah, il pulpito dal quale si celebrano le funzioni religiose.
Il vino è, assieme al pane, alimento simbolicamente molto importante nella vita ebraica e soggetto a regole molto precise per la sua produzione; se rispettate, sono segnalate con un’apposita certificazione per essere riconosciuto “kasher” (permesso) dalle persone osservanti. In occasione del concerto organizzato dall’Associazione Sergio Gaggia, il vino proposto è stato il Pinot Grigio Kasher DOC 2017 dell’Azienda Colutta di Manzano (Ud), vino non pastorizzato (al momento l’unico prodotto di questo genere realizzato in Friuli Venezia Giulia), per creare così un legame coerente tra il luogo scelto come sede del concerto e un vino del territorio.
Gli organizzatori hanno deliberatamente scelto di non proporre un programma di musica esplicitamente legata al mondo ebraico, preferendo creare una sorta di summa ideale partendo da un elemento tipico, l’umorismo, declinato in modo molto particolare e intelligente; ciò ha permesso, grazie alle chiose di Valerio Corzani, versatile musicista, autore e conduttore radiofonico, giornalista e fotografo di mescolare la memoria dell’assaggio, questa volta preventivo, del vino con aneddoti ed episodi della vita dei compositori, puntuali premesse all’ascolto di pagine caratterizzate da una leggerezza dotata di gran corpo. Nicola Bulfone (clarinetto), Valentino Zucchiatti (fagotto) e Andrea Rucli (pianoforte) dal canto loro, sollecitati da Corzani, hanno preceduto le esecuzioni con ulteriori commenti più strettamente legati alle opere proposte.
Il “Trio in mi bemolle maggiore per clarinetto, fagotto e pianoforte op. 38 (dal Settimino op.20)” di Ludwig van Beethoven ha aperto il concerto. Si tratta di una trascrizione in cui lo stesso Beethoven ridusse l’organico per favorire l’esecuzione da parte di ensemble meno ampi, scrivendo in origine le parti per pianoforte, clarinetto (o violino) e violoncello (qui rappresentato molto degnamente dal fagotto). Momenti in cui sono prevalsi brillanti botta e risposta carichi di ironia tra il clarinetto e il fagotto, con il pianoforte che sembrava vegliare su di loro, si sono alternati ad altri solo inizialmente solenni, presto seguiti da una festosa corsa virtuosistica. Il movimento che meglio si è legato al luogo è stato forse l’ “Adagio cantabile”, simbolicamente ricco come ogni elemento del tempio e pure come la produzione di un vino kasher, dolcissimo come una carezza data da un angelo, carico di spiritualità, ideale santificazione del tempo, con il suono meraviglioso del clarinetto e la delicatezza del fagotto, sostenuti entrambi dal pianoforte, colonna portante del tutto in un assieme che sembrava provenire da un altrove lontano, insito però nel profondo di ognuno di noi.
Il secondo dei “Klavierstücke op.114” di Felix Mendelssohn-Bartholdy è stato caratterizzato da una leggerezza vorticosa e brillante; attraverso suggestioni ora sognanti, ora rapidissime, si sono esplorate le innumerevoli possibilità date ai fiati (qui il fagotto svolge la parte originariamente assegnata al corno da bassetto); in particolare nell’andante, sonorità dolci, evocative, fiabesche e un po’ nostalgiche hanno dato vita a una danza che ha visto impegnati il clarinetto e il fagotto, mentre il pianoforte se ne sta sempre un po’ in disparte, intervenendo sì, ma in fondo lasciando fare.
Il concerto si è concluso con il “Trio ‘Pathetique’ in re minore” di Michail Ivanovič Glinka, dominato da un’elegante e briosa convergenza tra gli opposti: nostalgie solari, drammaticità brillanti, lirismi assertivi, con il “Maestoso risoluto” in cui le tre voci si mescolano sfociando in un ideale “pas de trois” prima dell’ “Allegro” finale carico di tonalità luminose.
Un bis di tutto rispetto e perfettamente in linea con l’intero programma ha concluso la serata: il Terzo Tempo del “Trio per clarinetto, violoncello (qui è di nuovo il fagotto a prenderne le parti) e pianoforte di Nino Rota.
Paola Pini