Al Teatro Palladium di Roma, il 16 maggio 2019
Spesso si è portati, a distanza di tempo, a riprendere in mano dei capolavori letterari o cinematografici per farne dei “sequel” e vedere se la continuazione è valida ed interessante come l’originale, ma poche volte questo avviene. Questo è il caso pure del lavoro rapido ed essenziale,dal ritmo serratamente dialettico, di Brian FRIEL in cui compaiono due personaggi derivanti, dopo 4 lustri,dai grandi capolavori del decadente russo: A. Cechov e precisamente ”Zio Vanja” e “Tre sorelle”. Andrej Prozorov e Sonja Serebriakova sono dei sopravvissuti dei due testi con una personalità non ben definita e spiccata, che vivono come anime perse alla ricerca di qualcuno o qualcosa che possa dare uno scopo alla loro esistenza. Lui è il fratello di Olga, IRINA è MASCIA, morta mentre utopisticamente pensava sempre d’andare a Mosca, per una maggiore crescita dei propri interessi culturali; lei invece Sonja Serebriakova è la nipote dello zio Vanja che, al tavolino d’un caffè della capitale russa, negli anni venti del novecento, dopo la rivoluzione leninista e mentre sta nascendo l’unione delle repubbliche socialiste sovietiche, parla fittamente con l’individuo cui ha dato un fugace appuntamento tra pratiche e documenti per rinforzare la coltivazione della sua tenuta. Andres, che indossa smoking e papillon con la custodia d’un violino sotto il braccio, l’informa sulle vicende occorse ai suoi avi e progenitori, divagando sul clima freddo dell’inverno,prove della sua orchestra e l’ossigeno fornito dalle foreste russe, ma restano distaccati, pur manifestando empatia reciproca: da loro non sprigiona calore umano,restano figure evanescenti legate ciascuna alle sue radici. SONJA deve curare una proprietà in cattive condizioni, continuando ad amare il medico locale; Prozorov è ancora solo ed incerto, vessato dal padre nella lontana provincia ignorante. Sono due disperati e tali rimangono quando alla fine, sulla melodica e malinconica canzone della dolce ed indimenticabile stella degli anni sessanta Caterina Caselli, salutandosi caldamente. Insomma è stato un breve testo della parola e dell’affabulazione, tipo Pinter e Beckett, messo in chiave melò e lirica, sperimentati in modo incentivante con il linguaggio contemporaneo e normale per il presente del video. Infatti le prime due scene si vedono in campo ristretto con profili di primo piano e poi “campo lungo”con fascia rettangolare di larghe dimensioni sullo sfondo. I PERFORMER erano I. Bonato e M. Rossi, lasciando la regia psicologica A. M. Berto e la realizzazione del video A L.Bragagnolo. Vite nude e candide che continuano il loro grigio itinerario terreno come le onde a frangersi, nella foschia del nord, contro il litorale.
Susanna Donatelli e Giancarlo Lungarini