Si pubblicano tre poesie di Giuseppe Pasqui

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Il colore dell’anima

Pura come l’acqua
che scende dal monte,
gorgogliando limpida
fra le rocce d’un torrente,

candida come la neve
che, calando a terra,
si posa lieva
coprendo tutto d’un
manto immacolato,
che per un attimo
ci riporta al passato.

Quando bambini con
l’anima innocente giocavamo
in un prato, rincorrendo
una farfalla piena di colori
e non provavamo per alcun
odio e rancori.

Così vorrei che ancora
adulto l’uomo rimanesse
con la sua anima pura ed
indulgente, senza nutrire
rabbie o ipocrisie per
razze diverse o etnie.

È questo il colore
bello e trasparente
che imprime amore e gioia
ad ogni essere vivente.

 

Il contadino

Parola arcaica e ormai remota
in questo mondo di tecnologia
di grandi innovazioni ed utopia.

Ma nessuno potrà mai dimenticare
quell’uomo rude ed un poco istrione
che da mane a sera, lavorava a mani nude
con la vanga ed il piccone.

Lui dissodava terra nella brughiera
e nella ripa, per darle nuova linfa
e nuova vita.
Lui costruiva piccole muraglie
dove il terreno scosceso scendeva
a valle, senza usare né cemento
e né livella; a lui bastavan sassi
e poi solo la terra.

Per i divertimenti giovanili esistevano
cose semplici e puerili, nelle lunghe
sere invernali mentre i vecchi
intorno al fuoco stavano a chiacchierare
bastava una fisarmonica strimpellata
e i ragazzi ballavano un valzer
o una quadriglia, con le donzelle
dell’altra famiglia.

Era in questo sapore di terra
e profumo agreste che lui gioiva
nei giorni delle sagre o delle feste
quando potea portar qualcun sull’aia
dove i polli starnazzavano intorno alla
massaia
per mostrarle con orgoglio il pagliaio
ben calibrato intorno allo stollo.

Nell’orto ti guidava fino al pesco ed
al susino che aveva piantato
da bambino, poi nei campi lungo i ciglioni
dei fossi lineari e ben puliti ti faceva
ammirare i lunghi filari di frutti
e viti, ti porgeva un saracino di
moscato e scorgevi in lui tutta
la gaiezza d’esser nato.

Lui che non conosceva isole esotiche
o paradisi sommersi, era ugualmente
felice in mezzo alla sua terra
e alle sue messi.

 

Vetusta fontana

Fulcro vivente di ogni vecchio paese,
è che all’imbrunire della sera
fra tintittinio di campanacci e scalpitio di ciottoli,
scendevan per abbeverarsi del villaggio fra i vicoli contorti
a guisa di monelli, mucche, buoi ed asinelli.

È che si ritrovavan le comari
a risciacquar il loro bucato
e rimembrar il tempo ormai passato.

È che le giovani donzelle
con la scusa di attinger acqua, con mezzine, brocche o catinelle,
incontravano l’amore e organizzavano le loro prime scappatelle.

Ora che l’acqua scorre in ogni casa,
tu sei rimasta sola e abbandonata.
Il tuo lieve fruscìo sembra quasi un piccolo lamento,
mentre sempre più remoto si perde fra i rovi del vecchio muro,
fuori dal tempo.

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