Al Festival del Cinema Russo, Premio Felix-Festival del Cinema Russo, svoltosi a Milano dal 17 al 20 settembre 2019, è stato presentato, tra una vasta e qualitativa selezione di opere di autori contemporanei russi, il film di Anton Bilzho “Ambivalenza”.
La scena iniziale, in una palestra dedicata al tiro con l’arco, ci appare del tutto “normale”: la camera segue la concentrazione del tiratore, il suo sforzo, la sua espressione, poi lentamente si allarga a inquadrare un elemento di disturbo “necessario”, e con il suo occhio mobile introduce i due protagonisti, Petya e Stas. Ma quella scena, ci accorgeremo, rappresenta l’impronta filosofica, narrativa e visiva di tutto il film, è come una predizione a tutto quello che seguirà, e quindi, inconsciamente, ci inquieta e ci incuriosisce. E’ una freccia che fa centro al cuore della storia che vede protagonisti due giovani studenti di psichiatria, molto legati da una profonda amicizia, ma come ci avverte il titolo “Ambivalenza”, dove c’è amore c’è anche odio, dove c’è bianco c’è anche nero, dove c’è la luce c’è anche il buio, dove c’è la salute c’è anche la malattia.
Petya interpretato da Daniil Steklov, attore del Teatro di Mosca, è quello iroso, buio, ribelle, anticonformista, sfrontato, libertino, e che di notte suona la batteria in un gruppo rock, Stas, Egor Morozov, studente impeccabile, è invece la personalità più timida, sensibile, lontana da qualsiasi tentazione, vive con i genitori, il padre, Dmitry Zhuravlev, è un uomo d’affari legato alla famiglia ma poco presente e poco raffinato, e la madre Katerina, Olga Tsirsen, è una bella donna elegante che nasconde forti emozioni, e che lavora come guida di storia dell’arte in un museo. Stas ci rivela la sua ambivalenza tirando con l’arco, cerca di fare centro, trasforma la sua docilità in uno sport che presume un bersaglio, qualsiasi esso sia.
Petya, il suo necessario contrapposto, è dilaniato da passioni incontenibili, è come la musica che suona: ti strappa il cuore e poi ci versa sopra della vodka, su un piatto di caviale.
I due rappresentano sentimenti e desideri ambivalenti, spesso si scontrano in discussioni, lotte, parole forti, ma questo non intacca la loro amicizia, nemmeno quando succederà un fatto molto drammatico. No, la loro amicizia non sarà intaccata, rimarrà, anche dopo…
Nel film il loro professore universitario cita Eugen Bleuler lo psichiatra svizzero che si occupò proprio di ambivalenza nei suoi studi sulla psichiatria, definendola uno stato di forti impulsi contraddittori, soprattutto affettivi, derivanti da una fonte comune e quindi interdipendenti. La cifra stilistica che sceglie il regista è anch’essa di ambivalenza, alternando o facendo coesistere un ritmo teso ma lento, denso, freddo come la neve di Mosca, le lezioni universitarie, la vita famigliare di Stas, a scene molto forti e molto belle di sesso, tra musica e luci intermittenti, corpi che si rincorrono e si trovano e poi si lasciano, un continuo in e out, come spari in una notte di quiete, come frecce sibilanti in cerca di una vittima, come la mente di un pazzo che non sa di esserlo.
E’ un film di tensione che ogni tanto si allenta in scene di tranquilla disperazione, in attesa del lancio finale, quello più importante, quello fatale,
Non voglio raccontare troppo del plot, a parte dirvi che Katerina sarà un po’ la Elena della situazione: scatenerà una guerra, lei, con i suoi silenzi, il suo amore filiale, la sua voglia di vivere qualcos’altro, le sue ambivalenze… come tutti.
Un bel noir che viene dalla Russia, un dramma psicologico con una buona sceneggiatura, senza appesantimenti intellettualistici, ma colto, in ogni caso, interpretato da attori di ottimo livello, che hanno saputo regalarci molte emozioni.
Un ringraziamento particolare al Premio Felix per averci fatto conoscere film così lontani, così vicini…