“JOKER”, l’origin story dedicata al più celebre villain di sempre

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Joker di Todd Phillips, l’origin story dedicata al più celebre villain di sempre, interpretato questa volta da Joaquin Phoenix, è tutto quello che si poteva immaginare, e perfino oltre.

Il film era attesissimo sia dai detrattori, che urlavano su quanto il film fosse troppo quotato e che restava una pellicola tratta da un fumetto, che dalla miriade di fans.

 Il primo film dedicato interamente al personaggio che è l’epitome del “chaotic evil”: icona che attraversa la cultura contemporanea in modo trasversale, dagli albi a fumetti al grande schermo, per imprimersi nell’immaginario collettivo come un marchio a fuoco.

 Mutaforme per natura, nella percezione del regista Joker non è altro che un nuovo Amleto, o magari un nuovo Edipo. Anti-eroe dalla statura tragica, che della tragedia classica e del dramma shakespeariano ha il potere di incarnarsi in molteplici attori, nelle più diverse messe in scena.

Quando un autore cerca di riscrivere il confine tra cinecomic e cinema d’autore, fatalmente sembra rivolgersi all’immaginario e l’universo di Batman. Hanno sfidato questo limite, apparentemente invalicabile, Tim Burton e Christopher Nolan, Jack Nicholson e il compianto Heath Ledger. Todd Phillips e Joaquin Phoenix scrivono oggi una nuova pagina di Storia del Cinema, firmando una perfetta tragedia contemporanea.

“All it takes is a bad day”. Tradotto, “In fondo basta una brutta giornata”. Così recita il poster americano del nuovo Joker. E per Arthur Fleck (Joaquin Phoenix), in realtà sono in arrivo una lunga serie di pessime giornate. Ex paziente psichiatrico, il suo reinserimento in società è più duro del previsto. Sullo sfondo, una metropoli che porta il nome fittizio di Gotham, ma si mostra chiaramente come la New York violenta dei primissimi anni ‘80.

Arthur Fleck, detto Art, per tutta la sua vita ha sognato solo una carriera come comico nella stand-up comedy. In realtà è costretto a lavorare in una miserabile compagnia di clown, mentre condivide un appartamento sudicio con sua madre Penny (interpretata dalla gloriosa Frances Conroy di Six Feet Under e American Horror Story). Se la donna l’ha cresciuto senza alcun aiuto, ora il dovere di Art è va accudirla in ogni singolo gesto. Penny ha sempre chiamato suo figlio Happy per il fatto che da piccolo sembrava sorridesse sempre. Davvero uno strano soprannome, per un uomo che non ha mai conosciuto la felicità in tutta la sua vita.

Il film di Todd Phillips e Joaquin Phoenix sceglie di descrivere l’arco temporale che conduce dall’uomo al Joker. O meglio: il punto di rottura dove Arthur Fleck, autentico reietto, relegato da sempre ai margini della società, libera per sempre quel clown triste, che scopre la gioia di essere efferato. Essendo dunque il film sul principio, su come nasce Joker.

Tra i disturbi psichiatrici di Art c’è una sindrome davvero anomala: la risata patologica. L’incredibile interpretazione di Joaquin Phoenix nella parte del Joker comincia proprio da quella risata incontrollabile, che esplode nei momenti più inopportuni. Una risata aliena, penetrante, che somiglia più al verso di un animale che alla voce di un essere umano, eppure conserva il riverbero del dolore più straziante.

Dalla risata allo sguardo, il volto di Joaquin Phoenix si piega per trasfigurarsi in tutte le storiche smorfie del Joker. Ma è il corpo il dato più sconcertante della sua performance. Scarnificato, pelle e ossa, Arthur Fleck mentre diventa Joker asseconda la sua sfrenata passione per il ballo. Dalle movenze grottesche di un clown di strada, Art prende confidenza, si abbandona alle figure del balletti classico, non ha più paura di ispirarsi a Fred Astaire. E sulle note di That’s life di Frank Sinatra la trasfigurazione in Joker è completa.

Questa della trasformazione fisica, sembra essere una figura quasi necessaria se ci si avvicina all’universo Batman, come dimenticare l’interpretazione di Bale o anche quella psicologica che sfociò anche nell’atmosfera privata di Ledger.

La regia di Todd Philips sceglie un registro costantemente al limite col surreale e il grottesco, intriso di humor noir, eppure questo resta il più realista dei Joker. Un film che può dirsi a pieno titolo una tragedia contemporanea, proprio in virtù della sua straordinaria sensibilità umana, dal forte sostrato di denuncia sociale. Tra le righe della storia, non è difficile leggere un’accusa alla società contemporanea, all’America di oggi, dove un uomo può scivolare nei recessi più oscuri del delirio psicotico senza alcuna assistenza medica, appannaggio solo dei ceti più abbienti.

Di sicuro il miglior film che è attualmente nelle sale e si spera collezioni il più Oscar e premi possibili, dato che se li merita davvero tra cui almeno la nomination a miglior attore protagonista per Phoenix.

La cosa più bella del film e quell’alone che lo ricopre dal primo minuto all’ultimo di un’attesa di morte, di una forte suspance, di grande tensione e di quel fiato che ti manca, come quasi a pensare che sia lo stesso Joker ad aleggiare nella sala cinematografica e questa presenza tuttavia rende il film ancora più magnetico.

Per i pochi detrattori che la pellicola ha preso, devo dirgli di mettere il cuore in pace dato che siamo dinanzi a un cinefumetto meglio realizzati di sempre, forse proprio perché ha la presunzione, e ci riesce, di voler essere di più, puntando al grande cinema.

Si ringrazia per la visione del film il cinema Plaza di Napoli ( zona vomero)

Voto: 9/10

Marco Assante

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