Trieste, Politeama Rossetti – Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Sala Assicurazioni Generali, dal 27 novembre al 1° dicembre 2019
Risultato di una lunga sedimentazione nel tempo, costruita attraverso tanti spettacoli creati da Marco Paolini a partire da “U – Ulisse” – portato in scena nel 2003 – e stratificato come le tante ricostruzioni della città di Troia, distrutta e riedificata innumerevoli volte, “Nel tempo degli dei” (di Marco Paolini e Francesco Niccolini per la regia di Gabriele Vacis) è un distillato essenziale già nel linguaggio scelto, scarnificato ed evocativo, potente come il greco classico, la lingua arcaica usata dal primo aedo che ne cantò e tale struttura si rispecchia alla perfezione negli echi magici della sobria e pulita scenofonia di Roberto Tarasco, autore anche dei luminismi e dello stile.
Quella di Ulisse, impersonato dallo stesso Paolini, è una figura gigantesca.
In lui possiamo trovare tutto l’umano, il nostro universale: conoscenza, viandanza, responsabilità, stanchezza, solitudine e, infine pacificazione con se stessi prima che con il mondo terreno e divino.
L’Eroe omerico cantato da Dante, roccia di salvezza per Primo Levi, si costringe all’esilio per espiare una colpa.
Ma di cosa si sente accusato, Ulisse?
E poi, come fa la sua figura a persistere nella storia della narrazione umana da tempi ancestrali rimanendo totalmente viva e costringendo ognuno di noi a misurarsi con essa, senza peraltro riuscire mai a superarla?
Perché, di fronte alla sua storia, non possiamo in alcun modo superare le ideali colonne d’Ercole che in qualche modo egli ci impone, pur senza nulla chiederci?
Nello spettacolo in scena al Rossetti di Trieste fino al 1° dicembre, Marco Paolini e Francesco Niccolini immaginano Ulisse alla fine delle avventure narrate nell’Odissea.
Stanco per le continue intromissioni da parte degli dei capricciosi, vuole raggiungerli dove vivono; sale così la montagna per raggiungere lo Chalet Olimpo, ma lungo la via un giovane pastore (Vittorio Cerroni), con arroganza, gli sbarra la strada.
La sua natura non è chiara, anche se qualche indicazione può giungere dal un particolare “daltonismo emozionale”, dal suo essere attratto soltanto dai fatti. A lui, i sentimenti umani non interessano.
Vuole, pretende una storia e contratta per averla; Ulisse tenta di schernirsi spacciandosi per un calzolaio, ma il ragazzo lo smaschera: stanco delle “cover”, vuole il racconto originale dalla bocca del protagonista, quello che veramente avvenne a partire dalla storia del cavallo.
Lo mette con le spalle al muro e l’uomo che, se da una parte è rassegnato, dall’altra è desideroso di guadagnarsi molte capre, inizia.
Ecco materializzarsi poco a poco la lunga serie delle vicende note, ma questa volta il punto di vista è il suo, del vero protagonista.
Appaiono tante donne, tutte impersonate da Saba Anglana, cantante e attrice dalle doti vocali incredibili: Elena, Circe, Calipso, Nausicaa e Penelope; c’è anche Atena la dea da lui prediletta (Elisabetta Bosio, anche al violino e al contrabbasso elettrico).
Ad aiutarlo appare Femio, l’aedo di Itaca (Lorenzo Monguzzi), armato di voce e chitarra; a trattenerlo prima per sostenerlo poi, Telemaco (Elia Tapognani).
Lo scontro tra i comuni mortali e quelle realtà che paiono sfuggire alle logiche terrene apparteneva a un mondo ancestrale ma, nel corso dei millenni si è mantenuto nella sostanza pur trasformato nella forma, lasciando di fatto costante un divario irraggiungibile.
Sono altri, oggi, i burattinai, ma agiscono in modo molto simile ai vari Zeus, Atena, Hermes di un tempo ai quali tanto piacevano le guerre, “portatrici di novità”.
La fragilità ci rende tutti naufraghi, in totale balia delle onde, ma grazie ad essa possiamo essere migliori di chi crede di essere immortale.
Paola Pini