Feroce satira circense contro il narcisismo idolatrico ed il lassismo etico con il rischio dell’adulazione autoritaria nell’apologetica ”La commedia della vanità” di Elias Canetti

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Al Teatro Argentina di Roma, fino al 9 febbraio 2020

Sta andando in scena in questa prima decade di febbraio il miglior lavoro programmato dallo Stabile di Roma per la presente stagione: l’accusa in forma di pamphlet cabarettistico dell’argentino Elias Canetti contro la corruzione dei costumi e l’imero della tecnocrazia o culto dell’immagine. Proprio per combattere codesta forma di degrado sociale, che nell’antichità significò il crollo dell’impero romano con Romolo Augustolo e l’avvento dei regni”romano-barbarici”, il premio nobel per la letteratura nel 1934, un anno dopo che il nazionalsocialismo era salito democraticamente al potere con l’appoggio dei liberali, scrisse questo testo supponendo che il leader della comunità,in luccicante abito nero, vietasse ai suoi sudditi d’avere foto, specchi o ritratti, pena una condanna da 12 a 20 anni per i possessori, mentre i fabbricanti sarebbero stati condannati a morte. Da quel momento professori ed illustri cittadini vennero perseguitati per la ricerca della scostumata vanità, che viene definita volgarmente ”sporca troia” mentre gli oggetti di vetro e le lampade che illuminavano o riflettevano diventavano merce venduta al rialzo a borsanera, come oggi la droga e gli allucinogeni in genere: ecco gli affari del fotografo e la gara tra le dame per un pezzo di vetro, similmente all’accattone che vuole rendersi conto di come si è ridotta. sullo sfondo risalta una violenta fiamma in cui Hitler bruciò i libri, come la chiesa nell’Inquisizione, mentre gli individui sono bloccati,immobilizzati, in se stessi come la statue di lacca sulla giostra che, come in un circo, ruota sul palcoscenico. La scena in effetti ondeggia tra una giostra da carillon ed un tendone: ”bistrot-cabaret” con i 23 interpreti eccessivamente caricati di trucco e cerone per una favola gotica,un didascalico racconto popolare e ludico per spingere l’umanità, in primis, gli spettatori a capire che tutto è vanità e codesta serve solo a farci prendere coscienza di quanto ammoniva Dante ”Fatti non foste a viver come bruti”. Ecco dunque i precetti stampati a caratteri cubitali sullo sfondo” non fidatevi degli altri,costruitevi il vostro futuro e mangiate il pane con le vostre mani. La vanità porta all’adulazione. Per assurdo il diavolo veste di nero in un luogo lugubre e senza specchi per cui non dobbiamo crogiolarci nel torpore ed inettitudine interiore delegando ad altri i nostri doveri, bensì essere sempre lucidi per evitare inqualificabili degenerazioni politiche sottilineate dalle tute nere della compagnia nel terzo atto dove ognuno deve rivendicare il proprio io. Rilevante è anche l’abolizione della quarta parete con il completo coinvolgimento del pubblico mediante l’irrompere degli attori di rete con il completo coinvolgimento del pubblico mediante l’irrompere degli attori di continuo in sala e nei palchi con battute, apologi ed urla comiche. La negatività dell’autorappresentazione di ieri allo specchio è oggi quella narcisistica dei selfie.

Susanna Donatelli e Giancarlo Lungarini

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