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“Shining”: 40 anni di incubi

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“WENDY? SONO A CASA, AMORE!” (dal film)

Poteva un genio del cinema come Stanley Kubrick limitarsi a mettere la sua arte al servizio di uno dei più celebri romanzi di Stephen King, ricalcandone pedissequamente la storia e stando attento a non snaturarne alcun aspetto in nome di un ossequioso rispetto per il “sacro”? Ovviamente no… Per questo tipo di trattamento, rivolgersi alla gran parte dei registi che si sarebbero poi cimentati con altre opere del “Maestro del terrore”, sfornando film anonimi e deludenti. Era prevedibile che Shining, nelle mani di un grande come Kubrick, sarebbe diventato qualcosa di “suo”, qualcosa di “altro” rispetto all’originale kinghiano. Una rilettura talmente radicale, quella di Kubrick, da lasciare King profondamente insoddisfatto e spingerlo a replicare al regista, realizzando a sua volta un adattamento televisivo del suo romanzo (Stephen King’s The Shining, 1997) che ne recuperasse il più possibile lo spirito originario.

Eppure, checché ne pensi King, lo Shining di Kubrick è un capolavoro del cinema horror, e si integra alla perfezione con le altre opere del regista. A distanza di quarant’anni dalla sua uscita rimane una tra le rappresentazioni del Male più inquietanti e incisive che si siano mai viste nel mondo della Settima Arte, ed è un film che continua tuttora a esercitare un fascino magnetico presso gli appassionati di esoterismo di tutto il mondo, impegnati a scervellarsi sui suoi presunti messaggi occulti (un esempio, forse il più celebre: il maglione indossato da Danny con il disegno del razzo dell’Apollo 11 è forse l’ammissione, da parte di Kubrick, che lo storico allunaggio del 20 luglio 1969 sia stato un falso realizzato in studio sotto la sua direzione?). Misteri e teorie della cospirazione a parte, siamo in presenza di un Kubrick 100% a tutti gli effetti, facilmente riconoscibile fin dal primo fotogramma per chi conosce le opere del Maestro: la perfezione maniacale di ogni dettaglio, il rigore geometrico delle inquadrature, i movimenti di macchina, l’incisività della colonna sonora… Tutto mostra l’inequivocabile firma di Kubrick, esattamente come in ogni sua altra pellicola, al punto tale che si potrebbe quasi affermare che le opere del Maestro rappresentino i singoli capitoli di un unico, ininterrotto film…

Monumentale l’interpretazione di Jack Nicholson, che dà voce e corpo a Jack Torrance rendendolo lo psicopatico per antonomasia (questo è stato uno dei principali elementi di discordia tra Kubrick e King), degno erede – anche se molto diverso – del Norman Bates di Tony Perkins in Psyco. Nella versione italiana di Shining, la formidabile prova al doppiaggio di un Giancarlo Giannini in stato di grazia esalta ulteriormente i meriti di Nicholson e rende memorabili i suoi monologhi, che andrebbero riascoltati in loop come esempio da manuale della celebre “Scuola italiana” del doppiaggio.

Due parole, per chiudere, sulla Extended Version uscita nelle sale italiane nell’ottobre del 2019 e riproposta recentemente al cinema per festeggiare il quarantesimo anniversario del film. Al netto del notevole lavoro di restauro digitale in 4K – cui ha partecipato anche Steven Spielberg –, il reintegro di circa 24 minuti di scene scartate all’epoca da Kubrick per la versione internazionale (e presenti invece in quella USA) non aggiunge nulla all’opera, anzi, la appesantisce rallentandone il ritmo, già piuttosto compassato. Sequenze come il malore iniziale di Danny e il susseguente colloquio con la dottoressa, oppure il “giro turistico” dell’Overlook Hotel in cui il direttore Ullman racconta la storia dell’edificio a Jack e famiglia, fino ad arrivare al viaggio in aereo di Hallorann, hanno il difetto principale di mostrare e spiegare troppo, togliendo fascino al film. Altre scene, invece, come quella che descrive la spettrale visione di Wendy nella hall (gli scheletri seduti e ricoperti di ragnatele), o quella in cui madre e figlio guardano la televisione, appaiono spurie, e si amalgamano a fatica col resto del girato. Discutibile anche il doppiaggio delle scene extra, nonostante la partecipazione di Giannini, ovviamente sempre nel ruolo di Jack (ma la voce non può nascondere i quasi quarant’anni trascorsi tra il primo e il secondo doppiaggio…). Molto meglio, quindi, la “vecchia” versione del film, ricordando sempre che “IL MATTINO HA L’ORO IN BOCCA”…

Francesco Vignaroli

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