Paura e desiderio (Fear and Desire)

Data:

USA 1952 61’ B/N
REGIA: STANLEY KUBRICK
INTERPRETI: FRANK SILVERA, KENNETH HARP, PAUL MAZURSKY, STEPHEN COIT
VERSIONE DVD: SI’, edizione RARO VIDEO

AND WHO KNOWS WHICH IS WHICH AND WHO IS WHO” (dalla canzone Us and Them dei Pink Floyd)

Durante una guerra imprecisata che si svolge in un tempo e in un luogo altrettanto imprecisati, quattro soldati si ritrovano in territorio nemico dopo lo schianto del loro aereo. Per raggiungere la salvezza ci sono sei miglia da percorrere, e l’impresa sembra possibile sfruttando il fiume che attraversa la zona. Questo, almeno, è il piano iniziale del riflessivo tenente Corby, capo del drappello; l’avvistamento di un generale nemico da abbattere e di un aereo da rubare costituiscono una tentazione troppo forte, e i programmi cambiano…

Opera prima un po’ confusa e pretenziosa, Paura e desiderio vale più dal punto di vista storico che da quello artistico, in virtù della firma del regista: il grande Stanley Kubrick. Appena ventiquattrenne, dopo un paio di notevoli cortometraggi (Day of the Fight e Flying Padre) e con un passato da fotografo alle spalle, Kubrick esordisce sul grande schermo con un film che solo per convenzione è ascrivibile al genere bellico. Nel caso del cinema di Kubrick, infatti, ha poco senso parlare di generi, poiché la sua arte li trascende: il regista ne ha attraversati molti (commedia, dramma, grottesco, horror, film in costume…), piegandoli però sempre alle proprie esigenze espressive e personalizzandoli in maniera forte e inconfondibile. Per questo, potremmo quasi considerare i film di Kubrick come i singoli capitoli di una lunga e ininterrotta opera unica. Tale capacità di manipolazione dei generi è già riscontrabile in Paura e desiderio, ed è probabilmente l’unico elemento in comune tra il presente film e le opere successive del regista. L’ambientazione bellica fa da sfondo al dramma dell’esistenza umana, la guerra è una metafora dei conflitti interiori che agitano l’animo degli uomini. Più che spari o esplosioni, qui si sentono pensieri e parole.

E’ lo stesso regista a comunicarlo esplicitamente nell’incipit, tramite una voce fuori campo che introduce la vicenda dicendo “C’E’ UNA GUERRA IN QUESTA FORESTA, NON UNA GUERRA CHE E’ STATA COMBATTUTA O CHE LO SARA’. SEMPLICEMENTE UNA GUERRA. E I NEMICI DA COMBATTERE QUI NON ESISTONO, A MENO CHE NON LI INVENTIAMO NOI…”. Anziché prediligere il piano dell’azione, dunque, la storia si focalizza su quello psicologico e introspettivo. La condizione di prolungata tensione estrema vissuta dai soldati è un detonatore che innesca in modo drammatico il dualismo Bene/Male insito in ogni individuo (argomento rafforzato dalla presenza del “tema del doppio” nella parte finale, in cui si scopre che i due ufficiali nemici hanno gli stessi volti, rispettivamente, del tenente Corby e del soldato Fletcher) e può anche essere un’occasione per fare un bilancio esistenziale. Di fronte a tutto ciò, le reazioni variano: qualcuno impazzisce, qualcun altro decide di sacrificarsi per dare un significato alla propria esistenza; altri ancora, più semplicemente, si ritrovano a desiderare la pace interiore… Il limite principale del film sta nel modo in cui viene espresso tutto ciò: la sceneggiatura di Howard Sackler è verbosa e intellettualoide, dialoghi e monologhi interiori risultano un po’ forzati e pesanti, tra speculazione filosofica e ricerca dell’effetto poetico. La regia di Kubrick è chiaramente all’insegna dello sperimentalismo, ma l’autore, pur con qualche guizzo notevole (come la scena dell’aggressione ai due soldati che mangiano nella capanna), non ha ancora acquisito la padronanza tecnica e le perfette geometrie che diventeranno il suo marchio di fabbrica in seguito. Purtroppo, c’è uno scarto netto tra le intenzioni di partenza – forse un po’ troppo ambiziose per un’opera prima – e il risultato finale. In ogni caso, Paura e desiderio merita di essere visto almeno una volta, specie se si ama Kubrick. Considerando i risultati che il regista otterrà tornando a parlare di guerra (due capolavori assoluti come Orizzonti di gloria e Full Metal Jacket), potremmo considerare questo incerto debutto come un utile apprendistato, un’esperienza costruttiva che è servita al giovane Kubrick – che qui firma anche fotografia e montaggio – per “aggiustare il tiro” e scoprire la propria strada facendo tesoro degli errori commessi.

Vale la pena di spendere qualche parola anche sulle travagliate vicissitudini distributive del film: ritirato per volere del regista, per nulla soddisfatto del risultato finale, dopo una brevissima e poco fortunata – in termini commerciali – circolazione nelle sale statunitensi, Paura e desiderio è diventato un “oggetto misterioso” irreperibile per decenni, salvo sporadiche apparizioni, sempre limitate agli USA. Un film “invisibile”, attorno al quale sono sorte voci di ogni tipo, che non hanno fatto altro che alimentare la curiosità degli appassionati. Di pressoché certo c’è soltanto il fatto che Kubrick non abbia mai avuto un buon rapporto con questo suo “peccato di gioventù”, e che abbia cercato di scoraggiarne la visione con ogni mezzo a sua disposizione. Una vera e propria abiura, insomma. Ma negli anni Duemila – il regista non c’era già più – il film è uscito in versione dvd e, in seguito al ritrovamento di una copia originale nel 2010, l’opera è stata restaurata e distribuita anche nelle sale. In Italia è uscito per la prima volta nel 2013, cioè a oltre sessant’anni di distanza dalla sua realizzazione: mai come in questo caso vale il detto “MEGLIO TARDI CHE MAI”…

Frank Silvera, qui nel ruolo del tenente Mac, tornerà nella seconda opera di Kubrick, Il bacio dell’assassino (1955), impersonando il “cattivo”. E’ con questo film, di tutt’altro spessore rispetto a Paura e desiderio, che Kubrick inizierà la scalata verso i vertici assoluti del cinema mondiale. Soltanto Hollywood si rifiuterà ostinatamente di riconoscere il genio del regista, che vincerà solo un Premio Oscar per i Migliori effetti speciali – davvero il minimo sindacale – con 2001: Odissea nello spazio. Capita. Anche ai più grandi di sempre.

Francesco Vignaroli

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