Stefano Duranti Poccetti. Alcune liriche del poeta

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Stefano Duranti Poccetti è nato ad Arezzo il 27 marzo 1987. Vive a Cortona e si è laureato in Discipline Letterarie Artistiche e dello Spettacolo. Giornalista pubblicista dal 2010, è fondatore e direttore del quotidiano web Corriere dello Spettacolo. Collabora alle testate Il Giornale (inserti Il Giornale Off e Cultura Identità), Il Borghese, Sipario (dove principalmente cura la rubrica libri), La voce del popolo (quotidiano per italiani in Slovenia e Croazia), Opera Life (dove cura una rubrica), L’Etruria. Ha curato inoltre per La Fenice Channel, radio web del Gran Teatro la Fenice di Venezia, la rubrica “Evocazioni musicali, alla scoperta di nuovi continenti”, in uno spazio condiviso con rubriche di importanti personalità, quali Philippe Daverio, Leonetta Bentivoglio e Quirino Principe. Dal punto di vista letterario, ha pubblicato “La voce dell’alba”, “Storie del Santo Maledetto”, “Per una nuova Commedia dell’Arte”, “Frammenti dalla Senna”, “Frammenti di baseball”, “Mortali e Immortali” e “Don Chisciotte in frammenti”. Suoi contributi (poesie, drammi, saggi, articoli vari) sono stati riportati in alcune testate, quali: Teatro Contemporaneo e Cinema, La Battana, l’Osservatorio Letterario – Ferrara e l’Altrove, Alessiobaroncini.it, La Repubblica e Il Secolo d’Italia. In passato è stato ospite alla trasmissione radiofonica “Prima di tutto” in onda su Radio1 Rai. Come interprete letterario della lingua francese, ha tradotto liriche di Victor Hugo, Pierre de Ronsard e Louise Colet, quest’ultime pubblicate in un servizio uscito sul numero di marzo 2020 sulla rivista Poesia di Nicola Crocetti. Con Nulla Die ha pubblicato la sua traduzione dell’opera “Les Chevaliers errants” di Victor Hugo.

Recensioni sulle sue opere sono uscite su diversi quotidiani nazionali, come: Il Giornale, Il Manifesto, Il Denaro, Il Borghese, La Gazzetta del Sud, La Gazzetta dello Sport, Guerin Sportivo.

Le seguenti liriche provengono tutte dalla raccolta “Mortali e Immortali” (Transeuropa, 2019) e sono connotate dal distintivo stile dell’autore, il quale, al posto del verso, predilige la prosa lirica.

I

Guardavo l’orizzonte. Dopo una morte, un viaggio, un divenire. Lo guardavo e vi trovavo pieno e vuoto, luce e foschia. Camminavo e un rametto mi si spezzava sotto la scarpa. Quel lieve suono diveniva un profondo rombo d’organo: fonema della morte. I cartelloni pubblicitari si sfanno davanti ai miei occhi, nel sottofondo s’erpica silenzioso un arpeggio di piano da allievo di conservatorio, e poi ancora odo del ragtime dinanzi alla scuola di danza. Miscellanea di pieno e vuoto, luce e foschia è l’esistenza, antologia di vita e morte (serenità ricoperta di ombre). Guardo l’orizzonte, penso ai tuoi occhi: echi di amore, tardiva speranza, giunta all’ultimo porto.

II

Il viaggio per le strade di Roma è un viaggio per la vita. Leggo L’arcipelago di Hölderlin. Ascolto sinfonie. Ravviso geometrie. Il fremito del demolitore abbatte il canto del cigno. Il gabbiano uccide il ratto. Le enormi finestre del Colosseo dagli archi tondeggianti si sposano con le file perfette e imperfette dei turisti. Il vento s’insinua sotto il gigantesco cartellone, che schiocca come una vela. Le sirene danzano a ritmo in lontananza: il loro suono decade in dissolvenza. L’eco dei motori dentro il tunnel rimbomba. Roma trema di fracasso. Trema la terra per la metro che passa. Sinfonia di frastuono, lieta all’orecchio. Apollo e Dioniso si compenetrano e orchestrano. I suoni sono tondi e aggrovigliati quali i fregi del Portonaccio. Io intanto me ne sto a Tiburtina, a suonare il pianoforte della stazione.

III

Roma. Spari e pace, garrula e cheta, rosso e azzurro, caldo e freddo, luce e tenebre. Roma. Capitale d’Italia e del Caos. Dioniso su te. Un angelo disegna una strada luminosa nel cielo, ma si disperde nella notte del giorno. Una nave fluttua alla ricerca dei suoi resti, vanamente. Saranno ritrovati solo il giorno venturo da un dilettante allo sbaraglio, che non cerca, che trova l’impensabile. Cerchi i residui dell’angelo, quando lui ti guarda dall’alto: intatto, integro, festoso. Roma pensa di ucciderti, ti fa invece brillare di luce. Più mortale ti senti, più immortale ti ritrovi nella città eterna. Credi di piangere, invece danzi di una danza irrefrenabile che ti rende più vivo. Ti senti lo spettatore di un disastro, quando invece sei il protagonista di una grottesca commedia che strappa sorrisi. Quindi fuggi e più fuggi più ritorni a ciò che ami e a ciò che ti ama.

IV

Nella metropoli. Un volto di donna mi guarda, sorride. Fa capire che lei è quella speranza tanto attesa. Eppure non mi smuovo, le sorrido, non la chiamo, non la blocco. Rapida cammina per la metropoli, quando mi volto è solo un punto. Ed io fermo come un blocco di marmo. Scruto il sole e passa una macchina color cobalto. Obliterata è la speranza tanto attesa, così, seccamente, quanto rapido è il passo di quella donna – capelli e pelle corvini, pungenti occhi. Avrebbe potuto salvarmi, sotto questo raro sole invernale. Non la rivedrò più, no. Mai. Domani quel viso sarà un altro e forse sarà bianco e biondo, vi sarà la parvenza di un’altra speranza. Mi sfuggirà come l’altra? Così mi chiedo stasera, seduto, inondato dal tramonto rosso. Aspetto disteso la rosea alba pronto a una nuova scelta. Intanto la donna ancora cammina per le strade di Roma. A qualcuno il suo volto sfuggirà, ma non il suo corpo. E così sarà presa solo per metà, senza alcuna speranza.

V

Come passavo le mie giornate parigine? Ascoltando Radio Classique, sbirciando dalla finestra dell’appartamento di Maria Callas, leggendo versi di Paul Verlaine. Cosa ci faccio adesso lontano da Parigi? Non lo so proprio, non so se sia giusto o sbagliato. Era gialla zolfo la luce brillante della Tour Eiffel. Di notte negra e mostruosa, proprio come il negro della banlieu, dal cuore bianco. Ma poi c’era il bianco dal cuore negro: il parigino dal naso aquilino. Poi sono arrivati i Platters, che hanno cantato sulla Serenata di Schubert e hanno messo insieme il meglio del bianco e del nero. Ricordo l’Artista che saliva le scale di Front Populaire: la metro che a quel tempo era nuova. Era tutto nuovo, tutto così presente e bello. Io ero giovane, piccolo e incosciente, felice e sognatore, forse più cattivo. Come passavo le mie giornate parigine? Alzavo lo sguardo dentro la notte cremisi, perdendomi dentro un’elettrica stella, un’elettrica costellazione. Cosa ci faccio adesso lontano da Parigi? Non lo so proprio, non so se sia giusto o sbagliato. So soltanto che il tempo passa e che io mi aggrappo al tempo.

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