“Eterna benedizione”, la poesia pasquale di Nunzio Di Sarno

Data:

Eterna benedizione

Cosa porta chi se ne va
Cosa rimane a chi resta
Nella testa e nel cuore
O nel corpo che pure
Sussulta e pena

Costretti all’altalena
Tra “avrei fatto o detto”
E propositi di riparazione
Che la morte e la paura
Accendono per poco
A una coscienza flebile
Che poco dura

Santo è il pianto
Di chi ancora in vita
È riuscito a dare e a dire
E non lascia arenare
O andare a fondo
Il fuoco vivo e sacro
Di terrena trasmissione

Intervista all’Autore

Perché ha scelto questo titolo “Eterna benedizione” per la sua poesia?

Da un lato il bene dire che c’è dentro la parola benedizione, dall’altro la protezione che questo bene dire o meglio dire il vero può dare. E questa possibilità dovrebbe essere eterna, nel senso di quotidianamente ricercata e agita.

Nella seconda strofa parla di altalena tra le cose che si sarebbero potute dire e fare e i propositi di riparazione. Per lei sono solo la paura e la morte che ci spingono a riflettere?

Non solo, ma con la morte e la paura cadono gli specchi, le pose e tutte le sovrastrutture che ognuno di noi ha costruito e costruisce in vita per motivi più o meno funzionali per sé e per gli altri. Soprattutto di fronte alla morte, a parte gesti e frasi di rito, si muove il sommerso, a volte in modo propulsivo.

All’inizio della terza strofa parla di pianto “santo”, ci può dire a cosa si riferisce?

Santo per me è colui che glorifica la vita e lo fa da vivo. E glorificare la vita per me è aprirsi alle dinamiche emotive, dentro e fuori, ed essere sinceri e leali nell’intenzione. Consapevoli fino in fondo dell’interdipendenza.
Riguardo al pianto, credo sia più vero di molte parole, almeno nella maggior parte dei casi. Il punto è che spesso l’apertura del pianto viene ricoperta dalle solite macerie.

Ci può dire perché ha scelto quest’immagine per la poesia e qual è la connessione con quest’ultima?

L’immagine è quella del Nodo Infinito, uno degli otto simboli di buon auspicio, usato soprattutto nel buddhismo tibetano.
Il nodo come si vede è senza inizio né fine e rappresenta allo stesso tempo le infinite rinascite nel Samsara, la connessione tra metodo e saggezza, e tra vacuità e sorgere interdipendente (nel Tantra). Questa continuità sta a ricordare anche il filo che ci continua a legare a coloro che sono vissuti prima di noi, visto che la coscienza non si estingue, a differenza del corpo.
L’ultimo concetto è oggetto di studio anche delle neuroscienze da qualche anno.

Seguici

11,409FansMi Piace

Condividi post:

spot_imgspot_img

I più letti

Potrebbero piacerti
Correlati

TÀ KÀI TÀ di Enzo Moscato

Il teatro di Eduardo  fortunatamente non subì il destino...

Eleonora Cicchetti, quando la fotografia… racconta

Attraverso la fotografia ha avuto la forza – ed...

Le lettera di Debora Cattoni all’amica Sara Tommasi

Il Natale si avvicina e le lettere non s'indirizzano...