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Vincenzo Palazzo per “Artisti ai tempi della pandemia si raccontano”. A cura di Daria D.

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Vincenzo Palazzo, autore regista, attore

Zona rossa, Covid, Pandemia… quali sono le tue reazioni immediate quando senti o leggi queste parole?

Le mie reazioni immediate a queste parole sono “un leggero stato d’ansia” uno continuo stop che si alterna con un rallentamento della vita.

Come hai vissuto e come stai vivendo questo periodo di pandemia, di lockdown?

Il primo periodo, credo come tutti, ho vissuto con una certa preoccupazione per il domani. Non è semplice combattere un nemico invisibile, lui è lì che si annida da qualche parte pronto a coinvolgerti nel suo mondo. All’inizio non si sapeva nulla e vivevo in uno stato d’ansia, non tanto per me, ma per la mia famiglia, in particolare per mia figlia di due anni e mezzo. Come facevo a spiegare ad una bambina così piccola che non si poteva uscire di casa, andare al parco sull’altalena, andare all’asilo, giocare con gli altri bimbi, non è stato facile. Mi ricordo che spesso si faceva prendere in braccio per vedere attraverso la finestra il mondo esterno, un semplice ramo che si spostava con il vento, diventava motivo di immaginazione, di distrazione dalla pesantezza casalinga. Spesso in alcuni orari del giorno, i raggi del sole filtravano attraverso il vetro, creando dei riflessi con i colori dell’arcobaleno, era un modo diverso per divertirsi, un appuntamento fisso. Quando non potevamo godere del sole perché il tempo era brutto e pioveva, ci fermavamo ad osservare la pioggia che batteva sulle finestre formando un quadro puntiforme al quale davamo un nome. Un giorno mi portò vicino la porta d’ingresso, tirandomi con tutta la forza e ripeteva “uscire, parco, bimbi!!”, è stata una situazione orribile perché mi sono sentito impotente. Oggi la situazione è diversa, siamo più consapevoli, sappiamo molte più cose, riusciamo a gestire meglio la situazione, possiamo uscire anche per fare due passi. Il lockdown ora non è piú quello di un anno fa, la chiusura totale fa paura, il senso di prigionia, di impotenza, ti proietta in un mondo claustrofobico e se la tua mente non è preparata ad affrontare situazioni di stress, di blocchi, di traumi, non è facile.

Come artista ti sei sentito abbandonato, emarginato, dimenticato? Oppure è la condizione normale degli artisti e quindi…

L’abbandono, l’emarginazione e l’essere dimenticato fa parte di questo mondo, potremmo definirlo un periodo buio, dove si sono spenti tutti i riflettori, da tutti i lati, nello stesso momento, per un lungo periodo. Dopo ci sarà un nuovo rinascimento, come tutti i periodi storici. Capita spesso che l’artista venga dimenticato anche senza pandemia, a volte per anni. Si può restare travolti da questo vortice dell’abbandono. L’artista è come un bel vestito, quando entri in un negozio ti colpisce, cattura la tua attenzione, ma poi, quando lo indossi spesso, dopo un po’ ti stanchi, cominci ad usarlo solo in qualche occasione, dopo alcuni lavaggi si scolora, cominci ad indossarlo meno, mentre prima lo riponevi nell’armadio al suo posto, stirato e ordinato, ora viene poggiato di qua e di là, spesso buttato tra gli altri panni sporchi. Quello che farà durare il vestito è la “qualità del tessuto”, la “resistenza”, etc. Dopo un lungo periodo si può anche farne a meno, ma resterà stirato, in ordine nell’armadio come la prima volta. La condizione dell’artista è sicuramente il silenzio, poter passare del tempo con sé stessi per ascoltarsi è importante, ma non per forza isolati, lontani dal mondo, si può essere in silenzio e in sintonia con sé stessi anche facendo una semplice passeggiata tra la gente, fermarsi alla fermata dell’autobus o fare la spesa al supermercato. Il silenzio non è solamente quel vuoto che si crea in un posto tranquillo, ma è tante cose. Alle volte quando soffriamo, riusciamo ad entrare meglio in contatto con la parte più intima di noi, ma non è sempre così, dipende dalla sensibilità che abbiamo, dal vissuto, dalla nostra anima. Diciamo che il vero artista è spesso l’incompreso, l’emarginato, il dimenticato, colui che ha dentro un enorme fuoco, un vulcano di emozioni ma non riesce sempre a gestirle, o a trovare il canale giusto per far fluire quel fuoco.

Pensi che la cultura ne abbia tratto beneficio o sia stata ulteriormente deprezzata?

In Italia la cultura sembra fatta per pochi intimi, un salotto dove non tutti sono invitati. Sicuramente in questo periodo la cultura è stata ancora più deprezzata. Ti bombardano con altri programmi inutili, di cose sempre più superficiali, di continue pubblicità sul benessere. Inoltre è aumentato l’utilizzo dei cellulari e dei social, “socializzare non socializzando”. I modelli di vita sono spariti, oggi si cercano nelle comunità virtuali, attraverso i follower, chi ha più seguaci conta, (anche qui ci sarebbe da aprire un capitolo, chi ha più soldi ha più seguaci), gli altri non sono nessuno. Stiamo perdendo sempre più la nostra dignità, ci svendiamo al miglior offerente, vogliamo imitare sempre l’altro. La continua voglia di apparire, di avere conferme, di avere e non di essere, questa ossessione per la popolarità, secondo me questo periodo ha amplificato le patologie di molti. Chi cerca la cultura, nonostante i problemi, la cerca comunque e ovunque, leggendo un buon libro, guardando un film che ti emoziona, incuriosirsi per qualcosa, fare ricerche, coltivare le proprie passioni.

Hai avuto modo di preparati per il dopo?

Si, ho avuto modo di riflettere su tante cose, oltre ai miei progetti, che mi auguro di realizzare appena possibile, quando si potrà, vorrei viaggiare un po’, vedere posti nuovi, respirare realtà diverse, ho bisogno di immergermi un po’ nella natura, in luoghi incontaminati per ricaricarmi di energia

Pensi che dalla sofferenza, dal bisogno, dalla disperazione possano nascere forme diverse di arte, magari con una maggiore profondità etica e sociale?

Dalla sofferenza nascono tante cose, sia belle che brutte, se si riuscisse a canalizzare la sofferenza verso qualcosa di creativo, coltivare una passione, saremmo tutti più felici. Non sempre ci si riesce purtroppo. Dal mio punto di vista, la sofferenza è una porta in più che abbiamo, ogni tanto sbatte, si apre e si chiude col vento. Bisogna capire se prima o poi vogliamo entrarci. Spesso abbiamo paura di aprirla per vedere cosa c’è dietro, ma quando decidiamo di farlo, scopriamo un mondo nuovo, fantastico, quelle piccole cose che prima nella vita quotidiana non notavi, ora diventano particolari importanti, dettagli, significati. Anche lo sguardo cambia, il punto di vista, c’è una sensibilità diversa, nasceranno diverse forme d’arte, essa muta in continuazione, nel tempo e nello spazio e soprattutto attraverso il digitale. L’artista è sempre stato al servizio dei potenti, di coloro che hanno la possibilità di pagare la propria arte, spesso e volentieri questi mecenati vogliono solo soddisfare il proprio ego, i loro bisogni, decidere cosa vale e cosa no, creare nuove mode. Gli artisti diventano manipolabili, ricattabili, (purtroppo succede anche per tutti gli altri settori), anche se il bravo artista riuscirà sempre a nascondere il proprio messaggio attraverso la propria opera, il famoso “sottotesto”, “le metafore”. Non tutti però abbiamo gli strumenti giusti per cogliere il messaggio di un artista.

Quando crei hai bisogno di isolamento o ti butti tra le folla, si fa per dire, per trovare ispirazione?

Quando creo, mi lascio trasportare dal flusso che ho in quel momento, non sempre si ha la possibilità di stare in un posto tranquillo, immersi nella natura, in riva al mare, oppure nella propria stanza da soli. L’ispirazione non dà preavvisi, ti viene, ti chiama e tu, devi saperla ascoltare, cogliere quella frequenza, ovunque tu vada. La trovi negli occhi dell’altro, osservando ciò che ci circonda. Dovremmo aprirci di più all’universo e lasciare che tutto intorno ci coinvolga attivamente.

Cosa vorresti che si facesse per gli artisti in momenti come questi quando sembrano, o forse sono, i più dimenticati?

Volevo fare una premessa, intanto in Italia esistono artisti di serie A e di serie B, poi ci sono quelli che si sentono tali ma non hanno niente di artistico, (si definiscono artisti, ma sono solo personaggi e/o prodotti creati e studiati a tavolino), alcuni potremmo definirli bravi tecnicamente, buoni esecutori, ma non è la stessa cosa. Gli artisti che hanno accusato di più sono quelli di serie B (non perché artisticamente o professionalmente siano da meno di quelli di seria A), ma perché si trovano in mezzo tra i famosi, (che hanno contratti importanti tutto l’anno, con teatri, produzioni cinematografiche, programmi tv, pubblicità, etc. Spesso figli d’arte o raccomandati dal politico o pinco pallino di turno) e quelli emergenti, poco conosciuti, spesso agli inizi e/o giovanissimi appena usciti da scuole, accademie etc. Questa categoria di mezzo, è stata penalizzata, professionisti che vivono di questo, non hanno avuto la possibilità di rientrare nei vari sostegni, in alcuni casi hanno ricevuto un aiuto di poco conto. Il settore artistico andrebbe regolamentato, si potrebbe fare un albo come tutti i settori, come gli architetti, gli avvocati, i medici etc. Chi ha il titolo e la qualifica professionale, può lavorare nel settore artistico e dello spettacolo, facendo i dovuti passaggi per crescere professionalmente, tirocinio, gavetta fino ad occupare la posizione desiderata. Purtroppo in questo paese tutti fanno tutto e ogni cosa è il contrario dell’altra.

Sembra quasi che in questo mondo tutti vi possano accedere, chi esce dall’accademia o da scuole professionali di cinema, teatro, reparti specifici e tecnici, si trova per anni a fare lavori saltuari, o gavette infinite a gratis e/o a rimborso spese, mentre invece chi fa un’altra professione spesso e volentieri molto lontana dalla nostra, vi può accedere liberamente, occupando ruoli discutibili e non sempre meritati, causando disagi per l’incompetenza e producendo concorrenza sleale…Ora qualcuno potrebbe dirmi “si ma l’arte è di tutti”, ognuno ha diritto di esprimersi come meglio crede, attraverso la pittura, la scultura, la musica, la scrittura, il teatro, la fotografia etc. Infatti esprimersi è una cosa, fare profitto, ricoprendo ruoli e figure non proprio consone al settore, danneggiando gli altri è un’altra. Bisognerebbe ridare un equilibrio a questo settore, lasciare più spazio a chi vuole percorrere questa straordinaria ma difficile strada. Distribuire meglio i cachet, cercare di evitare il più possibile la formazione di caste e lobby. Lo stato dovrebbe rivedere il meccanismo dei bandi, l’attribuzione dei fondi pubblici, creare una sorta di graduatoria statale, pubblica, e attingere da lì in base al profilo professionale e di conseguenza dare un sostegno a tutti coloro che per un motivo o per un altro non possono svolgere la propria professione, perché fare l’artista è un mestiere come gli altri, non deve essere visto come un hobby. La nostra politica deve capire che l’artista è indispensabile nella nostra vita, noi siamo fatti di emozioni, ci nutriamo tutti i giorni con l’arte anche se non ci si fa mai caso, si dà tutto per scontato. Chi, se non l’artista è capace di farci sognare, rivivere dei ricordi, farci riflettere, trasmetterci delle vibrazioni. In questo dobbiamo prendere esempio dagli altri paesi, in particolare la Francia.

In questo periodo c’è qualcosa che hai imparato, o apprezzato maggiormente?

Ho apprezzato ancora di più le piccole cose, soprattutto prendersi il proprio tempo.

Quando tutto finirà, cos’è la prima cosa che farai?

La prima cosa che farò è riabbracciare la libertà

Cos’è la speranza per te?

Non credo molto alla speranza, mi sembra una parola messa lì, per crearsi un alibi. Le cose succedono perché c’è una nostra azione e di conseguenza una reazione di tutto ciò che ci circonda, c’è molta gente che si culla su questo vocabolo, speriamo di trovare lavoro, speriamo di trovare una compagna che mi voglia bene, speriamo di essere promosso a scuola, speriamo di non fare brutta figura in qualcosa etc.

E l’arte?

L’Arte è qualcosa di straordinario, è un bene comune che andrebbe condiviso con tutti, purtroppo nella nostra società l’artista non è ben visto, colui che resta nell’ombra è uno sfigato, non ha voglia di fare niente etc. La società confonde l’artista con il personaggio famoso, alle volte coincide, ma non sempre. L’arte non si può spiegare, si assapora, si respira, si vive.

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Emozioni

Grazie Vincenzo!

Daria D.

http://www.vincenzopalazzo.com/

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