Nelle stagioni successive a un’edizione dei Mondiali, la Serie A di calcio ha spesso regalato delle grandi sorprese per quanto riguarda i nomi delle squadre riuscite a iscriversi nell’albo d’oro, in particolare nel decennio degli anni Ottanta. E’ il caso della Roma, che ha vinto il suo secondo Scudetto nel campionato 1982/83, seguito al trionfale Mundial spagnolo del 1982; nel 1986/87 invece è Maradona, compiuta la missione Mondiale in Messico, a consolidare il suo mito guidando il Napoli alla conquista del primo titolo della sua storia.
L’edizione 1990/91 della Serie A è ancora più particolare, perché depositaria dell’ingrato compito di risollevare il morale dell’intero movimento calcistico italiano, letteralmente a terra dopo la cocente delusione di Italia ’90. Ad affermarsi è di nuovo una squadra che rappresenta un inedito assoluto per le statistiche: la Sampdoria. La sorpresa c’è, ma fino a un certo punto. Questo traguardo rappresenta, infatti, il meritato apice del lungo ciclo compiuto da una Società capace di affermarsi sia in Italia (tre Coppe Italia nel giro di qualche anno) che in Europa (fresca vincitrice della Coppa delle Coppe 1989/90, dopo la finale persa l’anno prima), sotto la guida di due figure fondamentali quali il presidente Paolo Mantovani e l’allenatore Vujadin Boskov. In squadra – un gruppo solidissimo e affiatato –, campioni del calibro di Roberto Mancini e Gianluca Vialli (i “gemelli del gol”), oltre al portiere Pagliuca e allo “zar” Vierchowod, ma anche ottimi gregari come il veterano Dossena, Attilio Lombardo, Fausto Pari e Marco Lanna, senza dimenticare i tre stranieri Cerezo, Katanec e Mychajlycenko.
Ai nastri di partenza le squadre su cui si punta, però, sono altre: innanzitutto il Napoli di Maradona, campione in carica e quindi favorito d’obbligo; poi le due milanesi e, naturalmente, la Juventus, in cerca di riscatto dopo alcune stagioni piuttosto avare di soddisfazioni. La Sampdoria, pur non avendo mai raggiunto il “podio” della classifica finale, negli ultimi anni si è inserita stabilmente nella ristretta cerchia delle migliori squadre del campionato, grazie all’accorto percorso di crescita graduale tracciato dalla dirigenza. Un percorso che ha consentito a giovani giocatori di belle speranze come i già citati Vialli e Mancini di diventare figure di primissimo piano nel panorama nazionale (e non solo), e che ha permesso alla Società di acquisire una struttura idonea a vincere. Visto e considerato tutto ciò, la Samp non può essere certo considerata una vera e propria outsider, ma nemmeno una super favorita. E’ una squadra dalle potenzialità tutte da scoprire, e perciò meritevole di essere rispettata, se non temuta, dalle formazioni più blasonate. Insomma: la classica “mina vagante”.
L’inizio del campionato vede il Milan prendere subito il comando della classifica, ma già a fine ottobre, alla settima giornata, vincendo proprio contro i rossoneri in casa loro (1-0), la Samp compie il sorpasso. Il primato dura poco perché, dopo l’altisonante 4-1 rifilato al Napoli (che non è più la squadra dell’anno scorso), i blucerchiati, un po’ a sorpresa, perdono il derby con il Genoa, favorendo l’aggancio da parte dell’Inter che poi vince il platonico titolo d’inverno, seguita a breve distanza dalle altre favorite, cioè Milan, Juve e, a questo punto, la stessa Samp, più il sorprendente Parma di Nevio Scala.
Il girone di ritorno opera una decisa selezione delle pretendenti al titolo, che rimangono tre: le due milanesi e la Sampdoria. Vincendo con la Juventus, i liguri tornano in testa alla ventunesima giornata e da lì in poi mantengono il primato fino alla fine, rendendosi protagonisti di una cavalcata trionfale che li vede prevalere anche negli scontri diretti con Milan e Inter. La vittoria in casa col Napoli (ancora 4-1) passa alla storia perché il gol della bandiera per i napoletani, su rigore, porta la firma di Maradona: è la sua ultima rete con la maglia azzurra prima della squalifica e del conseguente addio al calcio italiano. Il caso Maradona monopolizza le prime pagine dei quotidiani, ed è un momento triste per tutto il mondo del calcio, ma la successiva impresa della Sampdoria restituisce centralità alle vicende strettamente sportive.
19 maggio 1991: con la vittoria casalinga della Samp contro il Lecce per 3-0, la città di Genova festeggia grazie ai blucerchiati uno Scudetto che mancava dal 1924, anno del nono e finora ultimo titolo nazionale ottenuto dai cugini del Genoa, ancora in attesa di una nuova affermazione che significherebbe la conquista dell’ambita “stella”, simbolo dei 10 Scudetti in bacheca. Ciliegina sulla torta doriana, il titolo di capocannoniere vinto da Gianluca Vialli con 19 reti. La festa prosegue con l’affermazione, ad agosto, anche in Supercoppa (1-0 alla Roma), mentre nella stagione successiva la sfortunata avventura in Coppa dei Campioni, con i blucerchiati fermatisi a un passo dal sogno (in finale, sconfitti per 1-0 dal Barcellona ai tempi supplementari, dopo aver mancato l’appuntamento col gol in varie occasioni), determina la fine del ciclo, proprio come era accaduto alla Roma di Liedholm pochi anni prima. La Coppa Italia 1993/94 è, a oggi, l’ultimo trofeo alzato dalla Samp, che schiera ancora alcuni dei protagonisti degli anni d’oro (Mancini, Lombardo, Pagliuca e Vierchowod).
Lo Scudetto della Sampdoria è l’ultimo prodigio di un decennio di straordinaria democraticità per il calcio italiano, un calcio dal volto ancora umano ma in procinto di cambiare per diventare quello che è oggi, cioè una questione più di soldi che di cuore. In quel periodo, invece, le vittorie non erano legate esclusivamente al fatturato di una Società, ma erano anche – se non prevalentemente – il frutto di progetti a lungo termine portati avanti con pazienza e dedizione da dirigenze competenti e lungimiranti che sapevano aspettare, senza l’ossessione del “tutto e subito”. Progetti che hanno permesso a società come Verona e Napoli di sedersi con pieno merito al tavolo delle “grandi”, nonostante il divario economico e politico che le separava ancora dalle tradizionali superpotenze (Juve, Milan e Inter su tutte). Anche quando a prevalere erano queste ultime, i campionati risultavano comunque molto incerti e si decidevano spesso all’ultima giornata (si pensi alla stagione 1981/82), a testimonianza del grande equilibrio che regnava.
Al titolo dei blucerchiati del 1991 segue una brusca “restaurazione”, caratterizzata dal dominio del duopolio Milan/Juventus per tutto il resto del decennio, con l’Inter a interpretare il ruolo dell’esclusa di lusso. Dopo il breve “giubileo romano” a cavallo tra i due millenni (1999/00 Lazio, 2000/01 Roma), ancora Juve e Milan, prima dello scandalo Calciopoli che stravolgerà equilibri di potere che sembravano ormai immutabili.
Francesco Vignaroli