VENTAGLI LIRICI di Marcella Mellea

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«Tra rami di abete / ti posi, nostalgia. / Luci colorate e / profumo di muschio, / pastorelli ignari / e vie di presepe. / Tra echi lontani / ti nascondi, / tra canti di Natale / e voci ovattate. / Profumo d’arancio, / di miele e cannella, / di legna bruciata, / racconti al fuoco / e risate di bimbi, /tempi passati. / Lenta ti adagi, / nostalgia, / su un bimbo in fasce / posto in povera cuna. / Alba nuova di vita / con speranza/attendi» (Nostalgia).
Echi lontani, nostalgia, odori di legna bruciata, amore di casa, bimbo in fasce, profumo d’arancio di miele, racconti al fuoco, risate di bimbi, tempi passati… Sta in questi vocaboli, in questi lemmi, la poetica della Nostra; sta nella rievocazione di una vita passata troppo in fretta, ma che lascia dietro sé scie di memorie che commuovono, e che inquietano; che portano la mente a tempi andati, a antiche primavere profumate di bocci nascenti, di stradette nascoste tra siepi di gerani.
Iniziare da questa poesia incipitaria significa andare da subito a fondo nell’animo di una poetessa che rivela le sue pulsioni emotive, i suoi palpiti esistenziali: memoria, poesia dell’home, saudade, gioventù, ricordi, amore, vita, tempus fugit, brevità del vivere, attaccamento alle vicende esistenziali e soprattutto al compagno di una vita, ad un amore che fa della sua vicinanza il cuore del vivere. Ibi omnia sunt. Una silloge complessa, delicata, empatica, i cui versi con la loro andatura ondivaga accompagnano l’oscillazione di una andatura che reifica stati d’animo schietti e sinceri. La poetessa ama la vita, l’amore, la campagna; la natura per lei è un rifugio in cui assopire malinconie e aporie quotidiane, dacché la sua poesia non è solo esistenziale ma vive di un panismo sociale. Da lì spesso si prende spunto per simboleggiare con tocchi di delicata intrusione i mali di una vita per niente giusti. Quindi una poesia complessa plurale, polivalente di un’autrice versatile, disposta a mettere su un vassoio d’argento tutte le sue riflessioni.
D’altronde la vita è una storia complicata e molteplice: chi di noi non vorrebbe tornare ai giorni giovanili? Chi non vorrebbe rivivere i primi innocenti amori? Chi non vorrebbe far tornare a fianco persone scomparse e uscite dal nostro ciclo vitale? Qui c’è questa malinconia fatta di reminiscenze per tutto ciò che è passato e passa inesorabilmente: soprattutto quei brandelli di vita che hanno segnato momenti indimenticabili, tempi di gioie e di felicità dovute a presenze che noi pensavamo eterne e indistruttibili. Quindi una poesia umana, totale, che contiene tutti gli input basilari dell’esistere. Un viaggio lungo e tortuoso fatto di nebbie e di luci, di scogli e burrasche, dove la poetessa riesce, però, a sottrarsi ai pericoli incombenti. A volte sembra che il naufragio sia imminente, e che gli scogli possano incidere l’imbarcazione per determinare una fine. Ma la poetessa è pronta a riprendere il cammino verso un’isola che nemmeno la si vede col cannocchiale. È sufficiente che l’isola del sogno viva in noi, con tutta la sua portata emotiva. E l’isola è nell’animo suo, nella sua mente. È la vita, le radici, i sogni, le memorie, la nostalgia; l’isola che tutti vorrebbero raggiungere per vivere momenti che a suo tempo ci sono sfuggiti forse perché non eravamo pronti, o perché non davamo loro l’importanza che meritavano.
Quanto alla forma la silloge si sviluppa su un percorso ondulatorio per seguire gli stati di un animo che rivela tutto se stesso con passione e partecipazione. Qui pathos e logos si sostengono a beneficio di una poesia snella a volte apodittica altre quasi narrativa a seconda delle emozioni che la poetessa prova nel tragitto. Ma possiamo dire che, nell’insieme, la forma, articolata e varia, si fa reificazione di un sentire cotto a puntino per mutarsi in poesia. Questa è Marcella Mellea, la sua poetica, la sua multiforme esplorazione psicologica, il suo navigare tra i meandri complessi e complicati di un viaggio che tanto ci dice di eros e thanatos, di quei sentimenti che al fin fine costituiscono la base e la polpa della vita.

Nazario Pardini

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