Dall’1 al 14 ottobre al Teatro alla Scala di Milano
La gioia di poter finalmente riaprire la Sala del Piermarini nella sua integrità, ha fatto da felice corona alle due ultime recite di Madina, un lavoro in prima mondiale commissionato dal Teatro alla Scala e programmato nella scorsa stagione, ma rinviato per l’obbligata chiusura. Una prima assoluta nata dalla collaborazione tra Fabio Vacchi, compositore contemporaneo italiano tra i più conosciuti ed eseguiti a livello mondiale, e Mauro Bigonzetti, coreografo di punta nel panorama della danza. Vacchi crea la partitura mescolando arditamente temi etnici vagamente mediorientali con musica occidentale di ascendenza colta, in equilibrio fra nuovo e antico, sovrapponendo canto e recitazione, con un risultato di forte impatto drammatico. Lo stesso si può dire dell’incisiva coreografia di Bigonzetti, con rimandi alla Bausch, nel continuo fluire di tensione creata dai soli o dall’intero corpo di ballo, attraverso una rarefatta quanto astratta gestualità. Punto di partenza è il romanzo di Emmanuelle de Villepin, La ragazza che non voleva morire, da cui la scrittrice francese ricava un libretto destinato inizialmente a diventare un’opera. Madina però, nel prosieguo della creazione, troverà la sua più giusta fisionomia in una forma di opera-balletto, con inserti di melologo. La scena di Carlo Cerri crea spazio ai lati del proscenio a due cantanti, tenore e mezzosoprano, per dar “canto” ai personaggi di Madina e la zia Olga, Louis e il vecchio nonno Sultan. Il coro, pur registrato, assume una presenza tangibile. Completa il quadro l’attore Fabrizio Falco, a dar voce ai sentimenti di “Un guerrigliero, Sultan e Louis il giornalista”, chiamato a scrivere sul fatto di cronaca. Emblematica la frase che Louis pronuncia: …noi per sopravvivere, dobbiamo girare la testa dall’altra parte. Quest’opera-balletto è un progetto innovativo che si può etichettare in diversi modi, coraggioso nell’approccio (decisamente mai declinato in danza) di scottanti tematiche, attuali quanto universali: il terrorismo con le sue atrocità, le guerre, gli odi religiosi sfocianti nell’integralismo, con corollario d’inevitabile violenza sulle donne in particolare. Madina è la storia di una giovane terrorista non per convinzione ma forzata a diventarlo attraverso mezzi coercitivi facilmente immaginabili. Un atto di scelta individuale la fa assurgere a coraggiosa eroina: quello di non farsi esplodere. Figura che tenta a suo modo di contrastare la deriva di violenza e di odio collettivi che si è scatenata. Protagonista indiscussa in scena la prima ballerina Antonella Albano, capace di infondere grande spessore umano a Madina. Una recitazione marcata quanto intensa rende palese la sfaccettata gamma di sentimenti che attraversano il personaggio; passionale e forte, ma in altri arida, dura e impassibile, a perfetto contraltare dei versi che canta il mezzosoprano “Da allora non sento più nulla, né il freddo né il caldo, né la rabbia né l’amore”. Assurge infine a livelli di pura tragicità, nello strazio della splendida scena finale, sul corpo dell’ammazzato Kamzan. Quasi sempre in scena, in una costante tensione fisica, ci si chiede come possa passare indenne alle tante sollecitazioni richieste dalla coreografia, al limite della contusione fisica. Gli è accanto Roberto Bolle, nei panni dello zio consumato dall’odio ideologico. Molta attesa per l’interpretazione di un personaggio agli antipodi di quelli cui ci ha abituato a interpretare. E il risultato è stato eccellente, a cominciare dal cambio d’immagine dovuto alla barba che, allontanandolo dall’archetipo apollineo, lo trasforma in un convincente, spietato quanto cinico Kamzan. La sua tecnica, inscritta sull’atletico fisico fa il resto: vigoria e furente passione delineano marcatamente la brutale fisicità del personaggio, tagliente e divorato da un cieco odio. Intensi, quanto coinvolgenti, gli “scontri” con la Albano. Gabriele Corrado è un Sultan molto partecipe e credibile; sul suo viso brillano i tratti di una profonda pietas paterna, per quel suo figlio che ancor in fine, dopo morto, chiamerà un po’ brigante e un poco usignolo. Martina Arduino è un’elegante Olga, affascinante e sinuosa nei movimenti, a far coppia con Gioacchino Starace, brioso e vivido Louis. Non così si può dire del tenore Chuan Wang, interpretativamente trattenuto nel corretto, quanto anodino timbro, mentre Anna-Doris Capitelli, dotata di voce calda ed espressiva, sa rendere le diverse sfaccettature degli stati d’animo di Madina e di Olga che è chiamata a interpretare. Pregnante la recitazione di Fabrizio Falco, voce non potente ma dall’incisiva e scandita dizione. Il Direttore Michele Gamba ha brillantemente reso i vari aspetti della partitura con virulenta e drammatica incisività, riuscendo nel difficile compito di omogeneizzare i diversi linguaggi impiegati dal compositore. Di grande effetto gli interventi del Coro. Ottimo il Corpo di Ballo scaligero. Efficaci le scene di Carlo Celli nella loro cinematografica efficacia, alternate a un’astratta interiorità; bel “coup de théâtre” il veder Madina, un attimo prima danzare su un lontano e alto praticabile, immediatamente scesa al proscenio. Pregevoli i costumi di Maurizio Millenotti. Caloroso successo per tutti gli interpreti e per il Corpo di Ballo, con marcato entusiasmo per la Albano, Vacchi, Gamba e, naturalmente, Bolle. Nelle uscite finali presente anche Emmanuelle de Villepin. Recita del 12 ottobre.
gF. Previtali Rosti