Se dobbiamo spendere due parole a proposito di questo immenso poeta, che fin dalla prima giovinezza fu tale da creare scalpore negli ambienti letterari inglesi, dovremmo farlo a partire dalla rottura che operò con qualsiasi cosa si fosse mai vista nella tradizione poetica classica e anche più recente: il suo stile icastico, vicino è stato detto alla settima arte, nel suo avvicendarsi e sovrapporsi di immagini, era capace di una plasticità e di una potenza evocativa inimitabili. In esso ricorrono anafore e analogie originalissime, lemmi neologistici, il gusto per il suono della parola, musica essa stessa, e torsioni funamboliche del linguaggio, così classico da recuperare Blake e John Donne, soprattutto a livello tematico, e così neoterico da sconvolgere i suoi coevi – poeti e non. V’era in lui uno spirito fortemente dionisiaco… Ed è stato detto che fosse definibile come neoromantico e che in lui fossero assenti temi sociali o politici, noi diremo che la dimensione politica dell’esistenza inerisce sempre la sfera del desiderio e in quanto tale, del definirsi delle identità, e di questi nessi Thomas è un cantore unico. È stato anche più volte sottolineato che in lui vi fosse una vena di panteismo, ma vorremmo dire che sarebbe più appropriato dire panpsichismo… Certamente la natura e la sua voce, la sua voce plurima o per esattezza la voce dei suoi enti, anche nel loro confliggere, hanno un ruolo centrale nella poetica del bardo gallese; assieme all’amore cantato visceralmente e inscindibile dall’ impulso sessuale, che recuperando Freud sono impulsi sì di vita ma anche di morte… Si faccia un parallelo, a questo proposito, tra alcuni dei motivi delle sue poesie e lo splendido saggio di Freud intitolato “Al di là del Principio del Piacere”. Thomas era tanto dissoluto e dissipatore di sé, anche in senso nietzschiano, nella vita (emblematica è la sua dipendenza dall’alcol) quanto viscerale e vitalistico nella propria poetica. Nella quale le immagini si accavallano e potenziano vicendevolmente attraverso quello che egli stesso chiamò metodo dialettico e che ricorda da vicino l’immagine bergsoniana dei fuochi d’artificio… Costruire e distruggere, esattamente come in natura, i contenuti, le metafore e le allegorie, affermarle per negarle e far emergere la loro identica autenticità attraverso ciò che è a esse anche contrastivo… Dice il poeta: “Ciascuna immagine contiene in sé il germe della propria distruzione, e il mio metodo dialettico, così come io lo intendo, è un costante ergersi e crollare delle immagini che si sprigionano dal germe centrale, che è esso stesso distruttivo e costruttivo allo stesso tempo… Dall’inevitabile conflitto delle immagini cerco di concludere quella pace momentanea che è la poesia”.
Se la ripetizione, come nel filosofo francese Deleuze, è eminentemente il regno del ripetersi dell’uguale, Dylan Thomas la aggira anche quando procede per iterazione: in lui la natura, sia come grande madre dell’esistente sia come vicenda dell’umano, sono una forma immensamente affermatrice, tale da portare nel suo cubitale bacino di elementi in incessante poiesi e mutamento, una fucina di componenti in lotta tra loro, o avvinte l’una all’altra in una copula creativa il cui amplesso è ganglio dell’universo stesso. V’è qualcosa di biblico certo in Thomas. Egli era certo un credente ma aveva in odio la mortifera morale puritana soprattutto in relazione all’amore carnale o alla concezione incolore ed esangue di famiglia borghese. Altro tema cardine è la fanciullezza come Eden originario e non corrotto, che nel quadro energetico-vitalistico di cui parlavamo, è al centro di una realtà non inibitiva e sorella della possanza creatrice della natura stessa.
Thomas muore a New York il nove novembre 1953 a soli trentanove anni e lascia un’eredità incancellabile e luminosa che resterà un esempio unico di forza creativa e virtuosismo poetico.
Massimo Triolo
A seguire il link per ascoltare la puntata del 12 novembre uscita su ABC RADIO, LA RADIO CHE VI PARLA:
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