Glauco Mauri, stralunato Re Lear

Data:

Teatro Donizetti, Bergamo.  Recita del 17 dicembre 2021

Dopo la forzata chiusura degli ultimi due anni, la stagione di Prosa del Teatro Donizetti di Bergamo torna di diritto a occupare la programmazione annuale del teatro cittadino. Lo fa con un titolo importante, che immediatamente evoca grandi interpreti e storiche produzioni, e con un interprete di primo livello: Re Lear, gioiello del Bardo, e Glauco Mauri, decano del Teatro italiano. L’attore pesarese, passata la soglia dei novant’anni, ha dato vita nella sua lunga carriera artistica a moltissimi personaggi shakespeariani, e per la terza volta si cimenta con Lear: nel 1984 la prima, nel 1999 la seconda, con Roberto Sturno quale Matto mentre in quest’edizione si ritaglia la parte del Conte di Gloucester. Re Lear è un dramma complesso e scomodo, modulato su una struttura narrativa quadripartita e di parallelismi, nel quale, oltre ai temi della classicità come l’amore, l’ambizione e la gelosia, si racconta del rapporto violento e doloroso tra apparenza e realtà, entro il quale è possibile agire con nobiltà solo mascherandosi – Kent/Caius e Edgard/Tom -.Il Re Lear di Mauri è un vecchio sinistro e geloso, che ama l’adulazione dei suoi cortigiani e che soffre più fisicamente che interiormente. La pazzia, che richiama a quelle narrate dai classici latini Ovidio e Seneca, dovrebbe essere l’esito di una forte tensione emotiva tesa tra psiche e soma, e non una schizofrenica farneticazione. Mauri, tuttavia, si staglia sull’intera compagnia per la maestria e l’intelligenza interpretativa con la quale, supportato ancora da una chiarissima dizione, scolpisce la parola e legge il personaggio. I compagni di palcoscenico dell’attore romano non sono all’altezza del carismatico Glauco Mauri, eccezion fatta per il Matto di Dario Cantarelli: il timbro ambiguo, infatti, rende benissimo la complessità delle relazioni che intesse con gli altri personaggi, in particolare con il Re e la giovane Cordelia. In maniera diversamente apprezzabile il resto della compagnia maschile, tra cui spicca il consumato artigianato artistico di Roberto Sturno quale Conte di Gloucester, dai dolenti accenti finali. Per veemenza attoriale da citare Woody Neri (Edmund), anche se l’interpretazione è a senso unico, marcata solo da violenta passione. Francesco Sferrazza Papa non sviscera completamente il complesso e sfaccettato personaggio di Edgard. Il resto della compagine artistica è quasi tutta giovane, Laurence Mazzoni (Conte di Kent), Giulio Petushi (Oswald), Marco Blanchi (Duca di Albany) e Francesco Martucci (Duca di Cornovaglia), ma non è la giovinezza a porli in una condizione di fragilità espressiva e interpretativa, bensì la mancanza di una corretta impostazione della voce e di un’approssimativa ricerca di colori con i quali tingere il proprio personaggio. Purtroppo va evidenziato che la fonazione spinta, spesso urlata, e mai “in maschera” cui sono quasi tutti ricorsi, ha appiattito alla lunga la profonda complessità e demoniaca sfaccettatura dei personaggi shakespeariani che, per natura del Teatro, risiede nella parola. Decisamente deboli invece le parti femminili: le tre regine – Goneril di Linda Gennari, Regan di Melania Genna e Cordelia di Emilia Scarpati Fanetti – sono completamente prive sia di una qualsiasi ritmica metrica, tanto meno di quella del pentametro giambico cancellata dalla traduzione di Letizia Russo, sia di un’aristocrazia della parola di stampo elisabettiano. La regia di Andrea Baracco, pur funzionale in più momenti, appare disomogenea – forse per le differenze qualitative del cast – e non fa nulla per riequilibrare le parti; le scene e costumi di Marta Crisolini Malatesta, con il ricorso d’immancabili proiezioni, lasciano libero corso alla recitazione ma non riuscendo che in parte nella funzione di evocazione e suscitare poesia. Il pubblico bergamasco, particolarmente attento e in forte relazione empatica con lo spettacolo, ha applaudito la compagnia, dedicando un particolare calore a Glauco Mauri.

gF. Previtali Rosti

Foto Filippo Manzini

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