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“Le ferite del vento” al Teatro Elfo Puccini

Data:

Recita del 22 febbraio, Teatro Elfo Puccini – Milano

Dopo l’anteprima nazionale al Teatro Civico di La Spezia è arrivato a Milano, Teatro dell’Elfo, “Le ferite del vento” di Juan Carlos Rubio, con Cochi Ponzoni e Matteo Taranto, regia di Alessio Pizzech. Las heridas del viento, è un testo scritto nel 1999 e dopo aver trovato positivi riscontri in palcoscenico, è stato trasportato sugli schermi con la regia dello stesso Rubio, in una trascrizione cinematografica fedelissima all’impianto teatrale. Dopo la morte del padre, il figlio Davide trova un plico di lettere d’amore a firma di un certo Giovanni, sistemando le carte del defunto genitore. Scopre che sono missive d’amore gay e s’impone di rintracciare chi sia stato l’autore di quelle lettere: la scoperta lo stupisce, considerando il carattere distaccato, severo e anaffettivo del padre. La ricerca si fa quasi ossessiva, volta a scoprire chi fosse stato realmente quell’uomo che non è mai riuscito a conoscere di là degli obbligati stereotipi familiari in cui tutta la sua famiglia era rinchiusa. Giovanni è un anziano omosessuale, disincantato e un po’ cinico, ma che è stato un grande amante della vita, vissuta d’un fiato senza ripensamenti, lanciandosi senza pensare e così bruciandosi spesso. Davide invece è un giovane venato da un indicibile tormento, che nasconde i suoi sentimenti perché non vuole soffrire. Due personaggi totalmente opposti, le cui vite s’incrociano per via delle focose lettere d’amore. La pièce si dipana quasi in thriller sentimentale. L’intensa schermaglia tra i due unici interpreti, che slitta dal tema iniziale della ricerca della verità a quello sul bisogno d’amore e solitudine, approda a un lungo, folgorante monologo finale rivelatore. Storia della difficoltà di comunicare, ma anche incontro che in più momenti si trasforma in uno scontro tra generazioni. Lo sfondo “omo” della pièce è un pretesto, ingrediente narrativo che si trasforma in una scuola di sentimenti e di affetti, occasione preziosa di educazione sentimentale. “Non innamorarti mai di qualcuno che ti disprezza”, dice Giovanni a un certo momento: uno dei messaggi che vuole trasmettere questo lavoro, che parla di affetti non ricevuti, amori e debiti pendenti. Per quanto eccentrico possa sembrare, in realtà Giovanni diventa per Davide “maestro di vita”; di un certo modo di intenderla, sia chiaro. Quello che balza in evidenza è però il rapporto padre-figlio e, ancor più in generale, della stessa esistenza umana, con punte di vera drammaticità. Le ferite del vento ha delle qualità e anche se i conflitti narrati non trovano sempre un profondo sviluppo narrativo. Testo che ritorna al principio, su se stesso, per far comprendere il valore e la necessità dell’accettazione: «per tutto quello che non so di lui».  Un eccellente Cochi Ponzoni, padrone del ritmo della pièce e nell’introspettiva adesione al personaggio, raggiunge l’obiettivo di ritrarre l’insicurezza dell’essere umano quasi come una virtù, mentre la fermezza e l’ermetica impermeabilità ad afferrare le opportunità e i cambiamenti della vita, sono viste come una pesante negatività. Regala a un sottilmente eccentrico Giovanni una sfaccettata caratterizzazione, con poche indulgenze macchiettistiche segnate da amara ironia; una presa in giro di se stesso, ma pur stato capace di essersi costruito un suo mondo interiore. Matteo Taranto, pur con uno strumento vocale non impostato, lo fa ricco di sfumature; credibile nel fraseggio e nelle esitazioni e inquietudini che porta in sé, per il palpabile tormento interiore. Racconta bene la paura di apparire fragile, costringendosi a reprimere e censurare i propri sentimenti per rifugiarsi nella solitudine. Sarà però capace, in fine, di guardare al futuro da uomo adulto e consapevole di se stesso. Spiace solo rilevare l’utilizzo di microfonini per amplificare la voce in una sala, la Fassbinder, che ne avrebbe potuto fare a meno, privando gli ascoltatori delle risonanze naturali delle loro voci. Essenziale la scenografia di Alessandro Chiti, due cubi comunicanti a mostrar gli interni in cui sono rinchiusi i protagonisti; efficace la regia di Alessio Pizzech, di sapore cinematografico, impostata spesso su “primi piani” a esaltare le prove dei due attori in campo e infrangendo la “quarta  parete”. Screzia il personaggio di Giovanni, senza indulgervi troppo, d’inevitabili ammicchi allo stereotipo del gay, resi perfettamente anche nei passi di posa in scena, del retaggio cabarettistico di Cochi. Focalizza infine, isolandoli da ogni contesto, i personaggi nei monologhi a evidenziarne la luce e il buio interiore. Pregevoli le musiche di Paolo Coletta, rilevate dall’immancabile presenza di Mina, un cult per tutti. Piacevoli i costumi di Paola Ricotti e sempre centrate le luci di Michele Lavagna. Successo festoso, con calorosi applausi per Taranto e soprattutto per Ponzoni.

gF. Previtali Rosti

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