Il “Carnevale” di Robert Schumann. Quando la musica diventa teatro

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Il Carnevale opera 9 di Schumann. Apertura trionfale per descrivere l’arrivo delle maschere. Dove siamo? In un teatro? In una grande sala da ballo? Forse, allora sì, immaginiamo una sala ballo, con un gigante camino sul fianco e con tanto di lampadario pendente; una sala da ballo con una scalinata enorme, in marmo e oro, simile a quella dell’Opéra, dalla quale i personaggi scendono rapidi rapidi, ansiosi per l’inizio della festa. Quindi immaginiamo che sia Pierrot il primo a portarsi al centro della pista. È malinconico, ma a volte scalcia, salta, corre, come se fosse sul palcoscenico della Commedia dell’Arte. Il suo viso è tinto di bianco e due lacrime gli rigano le guance, togliendogli il trucco. Eppure mentre scalcia piange, ma continua a scalciare, come se non perdesse mai la speranza, benché nella malinconia più profonda. Lui piange, invece Arlecchino non fa altro che ridere, quasi sbeffeggiando il povero Pierrot, che però fa finta di niente. Arlecchino ride e ride, saltella dalla gioia senza fermarsi: della tristezza non conosce neanche il nome. Allora il pianista, che non sa più che fare, intona un Valse Noble, che mette d’accordo tutti e due, che lo ballano l’uno davanti all’altro con eleganza, insieme agli altri invitati della festa. Danzano e danzano, bagnati dalla pioggia della poesia, che non abbandona mai né la malinconia né la gioia di vivere. E poi giunge proprio lui, Schumann in persona. È travestito ora da Eusebius, il suo lato più pensieroso e infelice. Sembra guardare Pierrot con comprensione e pare invidiare i saltelli divertiti di Arlecchino. Ma infine lui stesso si stanca della tristezza e va velocemente in un camerino, indossando la maschera di Florestan, lo Schumann gioioso e passionale. Ora guarda Arlecchino da pari a pari, ma a dir il vero invidia un po’ la melanconica poeticità di Pierrot. In ogni caso, i quattro danzano insieme, formando così il ciclo perfetto della vita, dove non può esistere felicità senza infelicità; vita senza morte. Ma attenzione! Schumann si spaventa vedendo la Coquette che entra in scena e si nasconde dietro un divano, sperando di non essere visto. La donna sembra guardarsi intorno alla ricerca di qualcosa e continuando nel suo cammino comincia a correre, uscendo dalla sala, per la rassicurazione del compositore, che tira un sospiro di sollievo. Intanto le maschere si prendono una piccola pausa dalla danza e vanno a bere qualcosa al bar della sala. Si avvicinano a passi pesanti a una vetrata, dalla quale ammirano bellissime farfalle che s’innalzano, Papillons che volano incredibilmente a velocità supersonica e gli sguardi, seppur attenti, fanno fatica a tenerle sottocchio. La cosa più stupefacente è che volando le farfalle formano delle vere e proprie lettere, che sembrano danzare nell’aria. I protagonisti ammirano queste Lettres Dansants pensando di sognare o di essere ebbri dal vino, ma in realtà è tutto vero: le farfalle amano la danza e questo è il loro modo di creare coreografie. Intanto Schumann è ancora nascosto dietro il divano, ma non appena vede scendere Chiarina dalla scalinata il cuore comincia a palpitargli, si toglie tutte le maschere di dosso e prendendo per mano la sua adorata la porta al centro della pista dove ballano un valzer appassionato. In quel momento, Chopin prende possesso del pianoforte ed è proprio lui a deliziare i due amanti con un brano dolce e sentimentale, che non può che strappare commozione a Schumann e a Chiara, come del resto a tutti gli astanti. All’improvviso un flash: Schumann si ferma per un attimo a pensare a Estrella, una sua vecchia fiamma. È un pensiero che non può controllare, ma perché gli viene in mente proprio adesso, davanti alla sua amata? Poi capisce il perché sia accaduto: Chiarina non è Chiarina, è Estrella che si è travestita per trarre in inganno Schumann, ma la Reconnaissance è avvenuta e Robert chiede subito a Frédéric di smettere di suonare, quindi si allontana rapidamente da quella che credeva essere la sua amata, che cerca d’inseguirlo, bloccata però dalla folla. Intanto si stanno esibendo Pantalone e Colombina, che con numeri pirotecnici hanno attirato su di loro l’attenzione dei presenti. Robert è però molto amareggiato e si disinteressa della danza, troppo gioiosa per il momento che attraversa e si porta in una sala più intima, dove un’orchestrina d’occasione sta intonando un Valse Allemande. Ricordi infantili riaffiorano al compositore; nostalgie che rammaricano ancora di più il suo stato. I suoi occhi sono puntati su una coppia che sta danzando abbracciata e con Amore… egli sogna quell’Amore, desidererebbe Chiarina, la vera Chiarina, proprio lì, insieme a lui. Nella sala principale ormai sta accadendo di tutto e ora è arrivato lo stesso Paganini, intento a dare prova del suo virtuosismo dinanzi agli spettatori, i quali non fanno altro che osannarlo e applaudirlo. Il colpo di scena è che la vera Chiarina giunge, scendendo le scale e cercando dappertutto il suo amato. Lo trova, dopo una disperata ricerca, nella piccola e intima stanzetta. L’abbraccia e lo bacia e gli fa una lieta confessione: quello che era accaduto era stato tutto studiato, uno stratagemma per avere prova del suo amore, gli dice, e, ora che sa che può fidarsi ciecamente di lui, perché sa che non la tradirebbe mai, che la ama come nessuna… ella non ha più niente da temere. Adesso sono in giardino, felici e contenti, mano nella mano per una promenade che sancisce il loro eterno Amore. La coppia guida il gruppo, che è formato da tutte le altre maschere, che sfilano come in parata. Ormai la festa è finita, il Carnevale si è concluso e tutti possono tornare a casa, togliendosi le proprie maschere. Chiarina e Robert sono gli unici che non devono levarsele, perché hanno voluto guardarsi negli occhi con la verità del cuore. Infine giungono di corsa e con spensieratezza dei bambini, che si uniscono alla parata delle maschere. Giunge sul posto una banda di strada e tutti quanti intonano insieme la Marcia dei Seguaci di David contro i Filistei, una marcia piena di speranza, contro una società di massa che è riuscita a mangiarsi in un sol boccone individualismo e poeticità. Ma niente è per sempre e l’età dell’oro un giorno farà il suo ritorno.

Stefano Duranti Poccetti

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