Ariadne auf Naxos, uno Strauss intimo

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Al Teatro alla Scala, recita del 26 aprile 2022

Richard Strauss, sposato a una cantante, era un profondo conoscitore dell’ambiente dei teatri d’opera, in cui passava la maggior parte del suo tempo. Chi meglio di lui poteva scrivere un’opera, teatro nel teatro, nel cui Prologo sono messi in scena, con sottile e raffinata parodia, vezzi e manie dei cantanti, le loro pretese, facendo cominciare già “fuori scena” il gioco della recitazione? Ariadne a Naxos ha conosciuto varie trasformazioni: una prima versione, creata a Stoccarda, era incorporata nella rappresentazione del Bourgeois gentilhomme di Molière e sostituiva la cerimonia turca prevista invece da Lully. La seconda, comunemente rappresentata, è una composizione interamente lirica: ogni riferimento a Molière soppresso, e l’unica traccia rimasta è il personaggio parlante del Maggiordomo. Il librettista Hugo von Hofmannsthal ha scritto un prologo che ambienta in un palazzo viennese del XVIII secolo: uno spunto che diventa descrizione critica del sistema sociale dell’epoca. La seconda versione di Ariadne auf Naxos è un’opera a “pezzi chiusi”, un’imitazione dell’opera seria, con la successione delle scene determinata da una struttura musicale; nel prologo, invece, è il teatro a farla da padrone, in un’alternanza rapida di stile recitativo conciso, sfociante in lirici ariosi. Passato per Strauss il tempo delle orge sonore di Elektra e Salomè, in Ariadne auf Naxos, il compositore lavora a una trama orchestrale di elegante trasparenza, impreziosita da colori ammalianti. Opera tra le più complesse della galleria femminile del maestro bavarese, pone a chi la mette in scena il problema di trovare la giusta chiave di lettura, dosando con perfetta maestria gli elementi (musicali e visivi) che concorrono a creare la giusta alchimia dello spettacolo. Il Teatro alla Scala ripropone il lavoro di Strauss a distanza di soli tre anni dall’ultima edizione, portando una coproduzione della Wiener Staatsoper con il Salzburger Festspiele, con la regia di Sven-Eric Bechtolf (ripresa da Karin Voykowitsch), scene di Rolf Glittenberg, costumi di Marianne Glittenberg e luci di Jürgen Hoffmann. Impianto scenico inizialmente gradevole e funzionale mostrando via via prevedibilità di concezione scenica: accanto alla graziosità del contenitore all’apertura di sipario (che non favorisce l’espansione delle voci, assorbendone i riverberi e rimandandone solo la secchezza) ecco minimaliste specchiere da trucco, a simular di camerini, diluiti però in uno spazio tanto vasto. Si passa al secondo atto, ricorrendo all’abusata soluzione di “teatro nel teatro” con una platea a vista e pianoforti rovesciati in proscenio, a simular le “rocciosità”dell’isola.  Svapora così l’allusione alla mitica isola interiore e va perduto lo straniamento voluto da Hofmannsthal, nello svelamento e nello sdoppiamento dell’azione. Fantasiosi i costumi. Sul podio, il Maestro Michael Boder offre una visione quasi cameristica negli sviluppi sonori, marcatamente lirica e introspettiva, senza calcare i contrasti tra momenti comici e lirici, ma tutta accennata, senza scansioni drammatiche e con scarso nerbo nella narrazione orchestrale. Il fluire è tutto in superficie, lasciando inesplorata la vastità, la profondità e soprattutto la sottigliezza del cosmo orchestrale straussiano. Buon concertatore, ha saputo sostenere l’orchestra scaligera nella sua personale interpretazione (anche se non sempre condivisibile). La compagnia di canto si è lasciata apprezzare, a livelli d’eccellenza, per la Zerbinetta di Erin Morley, voce piccola e non particolarmente potente ma sonora ed estesa, omogenea in tutti i registri e soprattutto usata con sagacità, morbidezza e fluidità, anche se non caratterizzata da uno spiccato scintillio nella coloratura. Capace di trarne sempre il meglio e ricca d’inflessioni; unitamente alla padronanza scenica e alla verve ne fanno un’interprete piccante e coquette. Primadonna/Ariadne era Krassimira Stoyanova, già presente nell’ultima edizione dell’opera, di cui si nota un’usura vocale, nella riduzione del volume di voce, nel registro acuto dove gli acuti non sono più così sicuri e nell’artificio di caricare i centri. Esecutrice accettabile, esegue le sue parti con professionalità ma senza spiccata personalità, non giungendo mai a essere interprete emozionante. Il Komponist di Sophie Koch non possiede uno strumento vocale cattivante, mostrando disuguaglianze e acuti quasi sempre stimbrati o gridati. L’interpretazione di conseguenza ne scapita nel tratteggiare il tangibile idealismo del personaggio, privo di compromessi, Il Bacchus di Stephen Gould si segnala per gli accenti di un tenorismo da heldentenor, senza averne le migliori caratteristiche – scarso “legato” mancando di squillo e la tendenza a strozzare gli acuti – più che languidamente appassionati. Markus Werba, fa sempre valere la sua arte scenica, anche se inizialmente spinge, marcando più la dizione che il canto nella figura del Musiklehrer. Gregor Bloéb, attore valente sagace in scena era un Haushofmeister dalla dizione stentorea e caricata, priva d’ironiche screziature che fan di questo personaggio uno squisito cameo. Norbert Ernst Ein Tanzmeister di voce penetrante, padrone della scena, saporoso caratterista nel tratteggiare, senza esagerare i tic e pose stereotipe del maestro di danze. Samuel Hasselhorn, dalla prestante figura fisica, è il migliore delle quattro maschere Harlekin, seguito dal saporito Brighella di Pavel Kolgatin, ma godibili anche le altre maschere così come perfettamente funzionali Caterina Sala Najade, Rachel Frenkel Dryade e Olga Bezsmertna Echo.

Cordiale accoglienza finale.

gF. Previtali Rosti

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