Venezia onora il suo Vivaldi

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Teatro Malibran – Venezia, recita del 7 maggio 2022

Andata in scena per la prima volta nel veneziano Teatro di San Samuele nel 1735, La Griselda di Antonio Vivaldi è la prima e unica collaborazione del famoso musicista con un giovane Carlo Goldoni, chiamato da Michiel  Grimani, proprietario della sala, a intervenire su un vecchio libretto di Apostolo Zeno. La cui Griselda andò in scena nel 1701, su musiche di Antonio Pollarolo al veneziano San Cassiano. Molti compositori se ne servirono poi per le proprie opere: Albinoni, Sarro, Scarlatti e Bononcini per citare solo i più conosciuti. Tanta fortuna era favorita sia dalla storia, esaltazione della virtù della protagonista, personaggio non eroico nel senso stretto, ma anche all’accettazione della “ragion di stato”. Così era e così dovea essere. Sia dalla stima nell’ambiente culturale che Zeno godeva come “poeta teatrale”, anche dopo la comparsa di Metastasio.  Il compito di Goldoni fu di apportare quelle modifiche al libretto che Vivaldi riteneva “necessarie” perché la sua protetta Anna Giraud (Girò) potesse meglio figurare, arrabattandolo in modo da espungere i pezzi languidi e introdurne di più energici ed espressivi. Prassi che non ci stupisce più, dato che per quei tempi un soggetto d’opera non era qualcosa di definitivo, ma una proposta alla fantasia e alla creatività di ciascun compositore, per crearlo e farlo cantare come lui lo sentiva. Il libretto di Apostolo Zeno non era certo la prima volta che subiva “adattamenti” voluti da impresari di teatro, compositori, e dagli stessi cantanti i quali mirando ad accontentare la smania di novità e i mutevoli gusti del pubblico di questa o quella città, sostituivano personaggi, spostavano, aggiungevano espungendo strofe e scene, causando spesso con questo rimescolamento una disuguaglianza stilistica, nonché incongruenza del carattere e della logica dell’azione. Questa la consuetudine teatrale dei secoli XVII e XVIII. Anche se lo stesso Goldoni scriverà, nei suoi Mémoires: “Ho poi assassinato il dramma di Zeno quanto e come Vivaldi ha voluto”. Il Teatro La Fenice di Venezia ha messo in scena La Griselda al Teatro Malibran, affidandone la direzione al Maestro Diego Fasolis la cui consolidata esperienza nel repertorio barocco è ben nota. Fasolis imprime già dalle prime battute orchestrali un andamento dal piglio risoluto e scattante, imprimendo alla partitura un energico slancio e facendo altresì risaltare i momenti di languore e straziante patetismo. L’inconfondibile colore del tessuto vivaldiano e la variegata tavolozza orchestrale emergono dalla compagine dell’Orchestra del Teatro La Fenice, docile nel seguire i dettami e piegarsi al trascinante entusiasmo del maestro nel ricreare tinte e dinamiche sapientemente esibite.  Interessante la scelta di Vivaldi di valorizzare un timbro, quello di tenore, relativamente apprezzato ai tempi, per il ruolo principale di Gualtiero, impersonato da Jorge Navarro Colorado aiutato da un bel personale, non fa fatica a delineare un personaggio nobile quanto cinico e crudele all’apparenza. Possiede uno strumento sonoro ma risulta un po’ vuoto nei pur pregnanti recitativi, per incompleta rotondità d’accento. Sostiene molto bene la coloratura di forza, impervia, dell’aria Se ria procella incentrata su un virtuosismo estremo, a maggior ragione per una voce maschile.  Fluido il suo canto, valorizzato da un accompagnamento orchestrale lussuoso. Non così a suo agio in Tu vorresti, in tempo lento e dagli accenti patetici, è meno intenso; bella la cadenza finale, attaccata con un fil di voce in prezioso pianissimo. Ritrova efficacia in Sento, che l’alma teme un’aria in tempo rapido, tentando anche una messa di voce. Un po’ corto negli acuti. Griselda, era svedese Ann Hallenberg, buon timbro mezzosopranile con spiccato senso del fraseggio e di giusti accenti, che in Vivaldi non è più la tremebonda e incondizionata donna soggiacente. Quando però l’accento si fa più infiammato i suoi recitativi tendono a essere sgranati fondandosi più sull’articolazione forzata che sull’accento, a tratti sopra le righe. Pulita l’esecuzione di Brami le mie catene, così come in No, no tanta crudeltà in cui trova accorati accenti. Mai impegnata in grandi virtuosismi vocali, denota qualche fissità di suono che le deriva dalla scuola vocale nordica. Ottone era il sopranista coreano-americano Kangmin Justin Kim voce molto estesa in acuto e altrettanto omogenea. Bravo attore che letteralmente domina la scena per spiccate doti naturali, ben disegnando la doppiezza, ma anche la superficialità (come lo vede il regista) del personaggio. Gli tocca in sorte la bellissima aria di paragone Vede orgogliosa l’onda, fluidissimo nel saldare il registro di testa con i centri naturali tenorili, a meglio sbalzare il canto con varietà di colori e toni. Smorza e fila, rendendo sensuale il suo canto. Acuti timbrati e morbidi, mai spinti. Eleganti le variazioni nel da capo con, nella variazione finale, un attacco scoperto all’acuto preso in tutta souplesse. Gioca con la voce, e la domina con maestria. In Scocca dardi si ripete la sensazione provata in precedenza, con il geniale artificio di fondere i due registri, di testa e di petto. Torna in Dopo un’orrida procella, a giocare in casa, in un’aria dalla vocalità spinta all’eccesso, vorticosa e con stupefacente velocità di vocalizzazione – la vera agilità di forza – con rapidissime ribattiture. Grande maestria musicale che raccoglie sonori consensi di applausi a scena aperta. Roberto era Antonio Giovannini, altro controtenore di colorito più scuro e caldo, timbro omogeneo e penetrante, di buona tenuta scenica e preciso nell’esecuzione. In Estinguere vorrei, efficace nella coloratura, sfuma e smorza e lega; di gusto e morbidamente eseguite le variazioni. Così come in Dal tribunal d’amore altra tipica aria di pretto carattere e sapore vivaldiano, ben si difende nella coloratura. Moribonda quest’alma dolente, tipica aria di bravura, è eseguita senza problemi. Vivaldi, conoscendo le caratteristiche vocali della Giraud (Girò), voce non potente dotata più di qualità d’attrice e non votata al virtuosismo spinto, concentra sul personaggio di Costanza le grandi asperità vocali e belcantistiche, ben rese da un’intrepida Michela Antenucci, precisa nell’esecuzione delle roulade della I aria, sicura nei picchettati, con qualche trascurabile asperità negli acuti, lievemente spinti. Le tocca l’aria più pirotecnica dell’opera Agitata da due venti, tipica aria di paragone, eseguita in maniera impeccabile: brava nelle ribattiture veloci, precisa a sciorinare (senza ombra di sgranatura) le agilità di forza. Cambiando di tono nella sezione lenta, mostra una fine sensibilità e credibili accenti di patetismo. Intensa. Ottime le variazioni, sempre intonate al momento vissuto dal personaggio, e di stile. Fluidissima nell’esecuzione dell’aria, tutta legata e senza perdere di smalto, non mostrando sforzo o fatica, per una vera gara di bravura. Premiata da uno scroscio di applausi. Ombre vane, è immersione in un climax e tinte che solo Vivaldi sa creare, che trova nell’Antenucci una sensibile interprete, dalla tipica purezza di canto di scuola italiana, con consone variazioni. Fasolis sceglie di inserire la variante di Torino, all’inizio della scena nona del II atto. La fascinosa Sonno, Sonno, se pur sei sonno, con la voce del soprano che esibisce una “messa di voce” e una purezza di suoni in un’eterea arcata di fiati. Completa degnamente l’ottimo cast il Corrado di Rosa Bove piacevole timbro di mezzo soprano, che spicca nell’aria Alle minacce. Impianto scenico moderno ideato da Gianluca Falaschi (suoi anche i costumi) dalla curata regia iniziale, con movimenti intensi e studiati.  Non altrettanto acuto nel prosieguo, si arena tra le sabbie mobili di luoghi comuni, sperdendosi in un realismo che poco si confà al testo e ancor più all’evocativa musica vivaldiana. Licenze gratuite quanto inefficaci (la connivenza di Corrado/Ottone) così da generare altra confusione, unite a ingenuità (gli incappucciati che rapiscono il piccolo Everardo) a far di Corrado un personaggio senz’etica, cliché senza spessore quasi una macchietta, si sovrappongono malamente alla musica avendo smarrito la chiave interpretativa. Balli sconclusionati e infelici a vedersi nel loro dimenamento infinito, la banalità di tentato stupro già troppo dejà vu per ritrovarlo ancora una volta in scena finiscono per banalizzare e render ancor meno credibile la vicenda: non fidandosi della musica, la regia ne risulta sorpassata.  Festosissima accoglienza finale per tutti, ancor più sottolineata per l’Antenucci, Kangmin Justin Kim voce e il direttore Fasolis.

gF. Previtali Rosti

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