Il ritorno di Avignone (se ne sentiva il bisogno)

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AVIGNONE – Il più grande teatro del mondo ha riaperto dopo la pandemia. Dopo un 2020 di assenze e un 2021 di ritorni a mezzo servizio, con poca gente e tanta attenzione. Adesso che il covid permane ma fa meno paura, il Festival di Avignone ha potuto rimettersi in pista, riprendendo il filo sia per quanto riguarda l’evento principale, giunto all’edizione numero 76, sia per il Festival Off, la fiera del teatro che ha toccato quota 56 anni di vita.

Se ne sentiva il bisogno, francamente, di questo ritorno. Tra pandemia, nuove guerre e vecchi timori, tutti abbiamo bisogno di evasione e di bellezza, esattamente ciò che il teatro può dare. Anche se non si può del tutto far finta di nulla, non si può fingere che il mondo non sia cambiato rispetto al 2019. Quando si entra dentro alle mura di Avignone, da Sud (Porte Limbert), si attraversa una delle vie più colorate e più animate della città, Rue des Teinturiers. Quasi al termine della prima parte, a sinistra si passa un ponticello e si entra in una vecchia chiesa. Lo spazio è quello dedicato alla proiezione di ‘Mnémonique’, installazione video costruita attraverso ciò che il pubblico del Festival racconta a proposito della percezione dei grandi eventi storici nelle rispettive vite.

Si va da De Gaulle a Mitterand, dalle primavere arabe alla Cina di Piazza Tienanmen, dalle rivolte del Sudamerica all’11 settembre, fino agli altri attentati che hanno scosso l’Europa in anni recenti. E si arriva all’Ucraina, alla Russia, ai giorni nostri. Ognuno espone la propria vita e la propria paura, di ieri o di oggi. Ognuno appare sincero, indifeso, davanti a quella telecamera che si trasforma in uno specchio per chi sia dotato di un briciolo di empatia. Non è proprio arte, se vogliamo essere pignoli, ma se si guarda il progetto nell’insieme, ciò che ne esce è un quadro che potrebbe ricordare Guernica di Picasso, un esperimento sociale ben riuscito e meritevole di un approfondimento.

Per l’arte vera, o meglio per quella più tradizionale, c’è tutto il resto. Che non è solo teatro classico, ma pure musica, danza, magia, poesia, lettura. L’Italia è ben rappresentata, in questo Festival del ritorno, in particolare nella sezione Off. C’è la compagnia bergamasca Les Moustaches, che recita in italiano con l’opera ‘L’ombra lunga del nano’, ci sono la Tom Corradini Teatro, il Centro Teatrale Meridionale con la Compagnia Barbe à Papa e, infine, la Petit Soleil. Tra gli altri, merita un approfondimento ‘Il Coro di Babele’ (autore Claudio Zappalà), storia di cinque migranti italiani che se ne vanno in cerca di fortuna grazie a qualche volo low cost. Con destinazione Babele, appunto. Ma piace, e molto, anche Piezz’e core, spettacolo italo-francese che racconta la Napoli del Dopoguerra attraverso prosa e canzoni tradizionali.

Tuttavia, non è il caso di legarsi eccessivamente a un idioma o a un altro, non è il caso di farsi frenare dalle barriere linguistiche, proprio qui dove di barriere non ce ne sono, nemmeno tra scena e platea. Per chi capisce il francese ci sono 1600 (sì, milleseicento) spettacoli al giorno, ma chi non lo capisce può trovare comunque ad Avignone la sua oasi di piacere e di meraviglia. Per esempio, attraverso la musica e le canzoni. Come quelle degli Odalva, duo francese che si nutre di canzone d’autore proponendo composizioni proprie di ottima qualità. Oppure quelle del concerto ‘Les Amants de Varsovie’, spettacolo ideato e realizzato da una cantante polacca (Ewunia) e da un pianista francese (Yves Dupuis). Non importa se non tutto è masticabile, sotto il profilo della comprensione: la passione degli amanti di Varsavia arriva lo stesso e coglie nel segno, tanto da meritare un palcoscenico pure fuori dai confini dell’Off e della Francia (magari anche in Italia? Qualcuno ci pensi, sarebbe un bel progetto).

Nel caldo infernale dei pomeriggi di Avignone, mentre i 40 e passa gradi mettono a dura prova il fisico, c’è bisogno di respirare attraverso queste micro-uscite dalla realtà. Micro, se parliamo di Festival Off, perché invece se passiamo al Festival ‘In’, gli spettacoli trascinano per un tempo ben più lungo. Che poi il tempo sia un concetto relativo, lo si capisce guardando certe meraviglie come ‘Le Moine Noir’ del regista russo Kirill Serebrennikov, oppure ancora come Milk, del 30enne palestinese Bashar Murkus. Istantanee di un’epoca che non esiste eppure è sempre attuale, momenti di grande teatro per l’ultima annata di Olivier Py, direttore non sempre amato in patria ma ambizioso come pochi in passato.

L’ambizione, in questo caso, passa anche dal non cadere nella russofobia che dilaga in certi settori della Vecchia Europa. Avignone sta dalla parte della pace e condanna la guerra, pur esibendo tutte le meraviglie del teatro russo. Da Cechov a Dostoevskij, passando per Nikolaj Gogol. Sembra un fatto persino ovvio, ma se spicca come qualcosa di anomalo, evidentemente così ovvio non lo è. Siamo in tempi di fragilità, personali e di intere comunità, piccole e grandi. Viviamo tempi complessi e il futuro ci appare sempre più come qualcosa di poco definito, dai contorni oscuri. In tutto questo, un pilastro dove appoggiarsi per riposare è proprio il teatro, con le sue storie che fanno ridere, piangere, pensare. Ma che soprattutto ci fanno vivere una vita parallela, più giusta e più accettabile.

Cristian Sonzogni

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