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A tu per tu con Enrico Bernard. Dall’Italia all’America nel segno del teatro

Data:

Va in scena negli Stati Uniti presso il VAPA (Visual and performing arts) di Bennington Vermont

l’opera teatrale di Enrico Bernard, anche autore delle musiche, “Lo sterco del diavolo” per la regia dell’autore. Incontriamo  Enrico Bernard per parlare del suo lavoro.

 

Dopo una serie di spettacoli qui al Middlebury College da te scritti e diretti per il pubblico americano  ecco un’altra  produzione dallo strano titolo, Lo sterco del diavolo.  Di che si tratta?

Il lavoro  in realtá é un un collage dalle mie opere giovanili scritte e rappresentate in teatri e cabaret romani tra il 1980 e il 1985. Mille e non piú mille, Superfaust!, L’ingenuo sono io, Prigioniero della sua proprietá,  con l’aggiunta di due mie ballate teatrali.

Due canzoni tue? Scrivi anche musica?

Ho cominciato giovanissimo come cantautore, mi esibivo verso la metá degli anni Settanta al Folkstudio di Roma, chiudevo le serate dopo Venditti e De Gregori e qualche monologo di Verdone. Ma ndavo a suonare anche a casa di Vasco Pratolini e di Cesare Zavattini, con la chitarra ho cantato anche nel suo ultimo film la Veritááááá.

E come sei passato al teatro?

 

E’ stato un passaggio naturale, direi un’osmosi. Provocata da Cesare Zavattini, il quale un giorno mi disse papale papale: le tue canzoni sono veri e propri testi teatrali in musica, dovresti fare teatro. Ed eccomi qui.

Torniamo al titolo del tuo testo, Lo sterco del diavolo.

Parto dalla definizione biblica del denaro per allestire uno spettacolo che parla, in maniera divertente, di economia. Il denaro  corrompe le coscienze, trasforma e deteriora i rapporti umani. Diventa fine a se stesso. Si santifica e viene idolatrato nella nostra societá, il dio denaro, ovvero il prodotto dell’intestino di Satana. Nella parte centrale del testo tratto in maniera ironica l’evoluzione del sistema dall’economia di scambio, Merce per Merce, dall’intrusione di un intermediario, di un mezzo per trasformare un sacco di pattate in un chilo di pomodori. Il denaro era nell’economia della Merce-Denaro-Merce un fattore di pura e semplice comoditá nell’ambito di una gestione umana dei rapporti economici. Si produceva merce per acquistare altra merce. Ma poi é intervenuto il Profitto, il Surplus, che ha trasformato il denaro da mezzo a fine dello scambio. Si é cosí cominciati a far  denaro per comprare merce da vendere per ricavare piú denaro. Ma questo denaro derivante dal profitto ha scoperto un diabolico trucco: la possibilitá di fare denaro abolendo la merce, vendendo se stesso. Cosí é iniziata l’era della finanza, degli Edge Fond, della Scommessa e della grande illusione del credito illimitato. Tutto questo processo di santificazione e deizazzione del denaro ha prodotto guasti non solo alla coscienza umana, alla cultura, ma anche alla natura. Perché il denaro fine a se stesso tende a distruggere e a fagocitare, mangiare qualsiasi cosa incontri sulla sua strada: esseri umani, fiori, piante, animali. Siamo tutti trasformati in merce per aumentare il profitto. Questa la morale della favola. (di seguiro all’intervista ne diamo un esempio presentando un paio di scene del copione, ndr.)

Durante le prove peró si  sente tanto ridere…

Certo perché in fondo alla tragedia c’é sempre in agguato la farsa. La corsa al denaro ci ha trasformati tutti in personaggi di una grande farsa sul palcoscenico del mondo. Farsa di cui siamo tutti ridicoli protagonisti, e quando dico tutti intend: dall’uomo della strada al grande finanziere, al politico, al presidente di una potenza planetaria. Insomma, tutti personaggi da barzelletta. Facciamo ridere. E che allora si rida di noi e dei signori padroni del mondo, finché ci sará un mondo, beninteso. Uno slogan del movimento studentesco del 68 era proprio questo: una risata vi seppellirá. Speriano di ridere molto, allora.

E in tutto questo la funzione del teatro quale dovrebbe essere?

Di aprire gli occhi prima che l’umanitá finisca in fondo al baratro. L’orologio dell’apocalisse indica che manca un secondo alla catastrofe globale. Fermiamoci in tempo. Il teatro deve far capire quasto: un altro mondo é possibile.

Quindi un messaggio ideologico politico?

Direi di no. Il teatro non ha e comunque secondo me  non dovrebbe avere un messaggio ideologico, politico, voglio dire una bandierina da sventolare.  Il teatro é il luogo piuttosto dove le cose possono essere cambiate, rovesciate, dove si puó rappresentare un mondo diverso, nuovo, migliore. Esso é appunto il luogo della “possibilitá” del cambiamento, il luogo cioé dove le cose possono non essere cosí come sono. Il divertimento nasce allora dal gusto che si ha nel ribaltare la realtá, nel trasformarla in qualcosa d’altro, perché etimologicamente il termine di-vertire (dal latino divertere) significa proprio questo: creare il doppio, l’altro mondo. Un mondo che ci di-strae, ovvero ci e-stranea, ci fa sentire di-versi. Da qui nasce la funzione critica del teatro attraverso la leggerezza e il divertimento.

Peró se capisco bene il tuo teatro si differenzia da quello di un Brecht o di un Dario Fo?

 

Sí. Il limite, se di limite si puó parlare, di questi due straordinari geni teatrali del Novecento é proprio quello di aver immesso contenuti ideologici che ne hanno in qualche modo limitato la comprensione e l’accettazione. Marxismo e comunismo sono argomenti filosofici e storici che vanno discussi e interpretati nelle sedi appropriate, il teatro secondo me non é il luogo adatto, rischia di scadere nella propaganda. Per me invece é da convincere il pubblico sia di destra che di sinistra che cosí – lo dice un personaggio del mio lavoro – non si puó piú andare avanti. Io non posso anticipare il mondo che verrá, se il mondo migliore sará rosso, verde, blu o nero. I poveri del film di Zavattini e De Sica che nel finale di Miracolo a Milano  volano sulle scope verso “un mondo migliore dove buongiorno vuol dire Buongiorno” non sanno dove vanno, l’importante é volare.

DALL’OPERA TEATRALE DI ENRICO BERNARD  “LO STERCO DEL DIAVOLO”. SCENA 4.

PERSONAGGI:

MERCE 1

MERCE 2

DENARO 1

DENARO 2

ENTRA M 1 (prima Merce).

M 1 :   Chi sono? Come mi chiamo? Non si vede, forse? Cosa c’è scritto qui? Emme. Sono la M non come quella parolaccia mer… no, non quella che state pensando, un’altra, cioé mer-ce… sì, proprio quella:  MER-CE e non MER-DE. (pausa) Che ci faccio qui? Ci faccio tutto perché tutto è cominciato con me, con la Me-rce. Infatti soddisfatti i bisogni primari, la M 1  si è accumulata, si è creata M 2 …eccola qui giunge a proposito, prego si accomodi signora  SECONDA MERCE.

Entra Altra M 2 .

M 2.  Giusto giustissimo giustappunto, io sono il cosiddetto Surplus,  ovvero l’M 2, cioé la   Merce 1  che si poteva scambiare con altra Merce.  1 + 1 = 2.  Ad esempio grano per frutta, carne per pesce, uova per pomodori, uva per carta igienica… eccetera eccetera. E siamo andati a braccetto, io e la M 1,  per un lungo, lunghissimo periodo. L’umanità era felice, produceva tanta M 1, anzi tante merci e le scambiava, insomma nacque così l’economia di scambio, dalla produzione materiale di cose necessarie: io do una cosa a te e tu dai una cosa a me. Alla fine siamo pari, felici e contenti tutti quanti.

Parte la musica stacchetto con balletto allegro.

M 1:  Già, ma poi è entrato in ballo lui.

M 2:  Lui chi?

M 1:  Suo Maestà il Denaro.

M 2:  Lo sterco del diavolo dici?

M 1:  Appunto.

Entra il Denaro con la scritta D 1.

D 1:   Si puo’, è permesso? Buongiorno signorini brutti o signorine belle, avete voglie, vogliette, desideri, facciamo qualche affaruccio? Un po’ di soldini? Sentite che buon profumino di carta stampata? L’inchiostro è ancora fresco, attente a non sporcarvi le manine.

M 1:  Nomini il diavolo e lui si presenta.

D 1 Coraggio ragazze, facciamoci una bella passeggiata insieme. Così mi dite che cosa vorreste comprare dopo aver venduto voi stesse?

M 2:  Come venduto!?

M 1:   Ehi, ci ha preso per prostitute?

M 2:  Che maleducato. Noi veniamo scambiate non comprate e vendute, bada bene a come parli.

D 1:  Amiche care, non siate sciocchine.  Da oggi in poi con me si compra e vende tutto, beni materiali e immateriali, anima e corpo, sesso compreso: dipende solo dai gusti e dalla disponibilità del portafoglio.

Le prende a braccetto e fanno alcuni passi di danza tirandole e costringendole.

M 1 :  In realtà costui si è messo in mezzo a noi e ci fa fare la figura di due zitelle rivali in amore: Merce 1 – denaro – Merce  2.

M 2:  Ahimé, si è rotto l’incantesimo, stavamo così bene sole solette, ed ecco presentarsi questo rompiscatole approfittatore.

M 1:  Coraggio, amica mia. Putroppo sono i tempi che cambiano. Del resto, a pensarci bene,  è comodo avere uno strumento intermedio, un mezzo per definire il valore di ciascuna di noi. Così non serve più portarsi dietro un sacco di patate per barattarlo con uno di grano, un carro di cocomeri per barattarlo con una catasta di legna da ardere, basta un fogliettino, una monetina e il gioco è fatto. La compravendita al posto del baratto. E se vendono me per compare te, che vali meno di me, danno anche il resto.

M 2: Ah, tu credi di avere più valore di me?

M 1:  Almeno il doppio, amica mia.

M 2:  Amica un corno. Adesso ti faccio vedere io quanto valgo. Prego signor Altrodenaro, venga, entri pure, ho bisogno di lei per sapere il mio giusto valore. E tu M 1, levati di torno, basto io a far di conto. Tu non servi più.

M 2  butta fuori scena la M 1  e prende Denaro e Altro denaro alias D 2  a braccetto.

D 2:  Finalmente una grande novità che rivoluziona il commercio mondiale, tutto grazie a me. Il denaro serve per comprare la M 1  che poi si vende per produrre  me, l’Altrodenaro. Così si passa dalla Produzione alla Speculazione, dal Guadagno al Profitto, dal Valore al Plusvalore. Più Merce il denaro riesce a comprare e a rivendere a maggior costo, più Altrodenaro si può mettere in banca. Grazie a noi due, dal capitalismo rinascimentale e commerciale si passa al capitalismo della produzione industriale, hai visto quel film Tempi moderni di Charlie Chaplin. (imita i famosi gesti della catena di montaggio di Chaplin) M 1 -M 1  -M 1 , denaro-denaro-denaro… Quindi perché perdere tempo nella produzione di questa signora Merce  che ha tante pretese, esigenze, necessità di manodopera, materie prime, trasporti  e poi le tasse! Le tasse ahi ahi ahi! Facciamo un bella cosa, se ci stai, facciamo a meno della Merce. Mi chiederai: Farne a meno? come? Semplice, la aboliamo. E a questo punto mi chiederai: E che cosa vendiamo?  Semplice. Vendiamo noi stessi. Vendiamo il denaro e guadagnamo, noi che siamo il denaro, sul denaro che siamo e che gli altri ci comprano.  Merce  basta,  vattene, non ci servi più.

M 1: Oh, che maniere, villani! Buzzurri! Cafoni!

D 2:   Ora comenadiamo noi, bella mia. Non produciamo nulla e stampiamo carta moneta, titoli di stato, fondi d’investimento, azioni, buoni fruttiferi, carta straccia insomma. (Altro stacchetto musicale, butta fuori in malo modo la M 1, e se ne vanno a spasso ballando e fischiettando allegramente: Un soldino tralllallà, due soldini trallalà, tre soldini trallallà….  All’improvviso D 2 si blocca, si fa pensieroso, rimugina qualcosa) Uhm caro Denaro, sai  cosa sto pensando?  Uhm… (cogita) Uhmm… Che tutto sommato potrei fare anche a meno di te. Mi chiederai se sono impazzito. Mi chiederai: Come si fa a vivere senza il denaro? Beh, vedi:  Vedi le cose stanno così: siamo partiti dalla merce che prima veniva scambiata con altra merce, poi sei venuto tu a fare da intermediario e da lì sono nato io, il Profitto. Ma è tutto troppo complicato, troppi passaggi, ci vuole la Borsa, il Mercato, le Finanziarie… Allora ho penstao, aboliamo tutto, partiamo da me, cioè dal Profitto, dal denaro che ancora non si ha ma che si spera chie si potrà guadagnare, forse, prima o poi, chissà… Mi chiederai:  E come mi sostituisci tu che sei il denaro che si fa vendendo me che sono il denaro che si presta a interesse? Elementare Watson: con l’illusione di fare denaro. Sai quanto costa un’illusione? Non costa niente. Si stampa e si vende. Quindi è Merce  gratis su cui guadagnare. La chiamerò CC, ossia Carta di Credito.  Cioè il Niente. Carta straccia. Ovvero l’illusione che sia un magazzino pieno di cosette, oppure un salvadanaio pieno di soldini sonanti. Peró non li vedi e non li senti perch´´sono immateriali, volatili, virtuali.  Non li vedi perché sono  Niente, non esisteno, sono pura illusione. E come tutte le illusioni, fanno così: puff.

D 1: Puff?

D 2:  Puff, sparisce. Ora c’è e dopo un istante via. Non c’è più. Si è consumata da sola. Adio soldi, addio sogni, addio tutto.  Come un incantesimo, o… come una fregatura. Mi chiederai: a che serve se poi sparisce? Beh  serve a montarci sopra un gigante. E sai come si chiama questo Gigante? Gargantua? Polifemo?  Nossignore. Questo Gigante si chiama… Scommessa, ualá. Non deve fare altro che scommettere sul puff che fa Carta di Credito prima di svanire. Se tu dici che alle otto di sera fa puff e sparisce e quella alle otto di sera puntualmente sparisce tu hai vinto la Scommessa. Mi chiederai:  e  che cosa produce Scommessa? Che ci si guadagna? Ti rispondo subito  Niente.  Che cosa dovrebbe produrre? Una scommessa è come un terremoto per una casa fatta di briciole di cemento che si sfaldano come polvere al primo scossone. Si scommette sul valore di quella casa che invece non vale niente perché è fatta di illusioni e le illusioni fino a prova contraria non valgono appunto nun emerito cavolo. Un cacchio. Niente.  Scommessa, illusione, speculazione. Alla fine… sai che succede?

D 1:   Si torna a vendere merce?

D 2:  No! No! Stupidone, testone.  C’è di meglio della semplice merce: vendiamo la Paura. Mi chiederai:  Paura di che cosa?

D 2:   Guerra, malattia, terrorismo… sai quanti bei soldoni si possono fare ad esempio con un virus? Diffondiamo l’epidemia e poi vendiamo l’antidoto. E mentre vendiamo l’antidoto facciamo scoppiare una guerra così vendiamo le armi. E poi si ricomincia col terrorismo. Una bomba qua, una sparatoria là, ed ecco che torna la pandemia. Un giorno potremo contare anche sugli Ufo, gli extraterrestri, venderemo ombrelli per proteggere dai raggi ultracosmici.

D 1:   Cosa sono i raggi ultracosmici?

D 2:  Non lo so. Sono ancora da inventare. Ma ecco che entra il nostro miglior amico, il miglior alleato del denaro: Sua Maestà IL DIAVOLO.

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