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La solitudine dei padri fragili e coraggiosi

Data:

In scena al Teatro Litta di Milano dal 10 al 12 novembre 2022

Questo spettacolo opera una scelta controcorrente, nell’osservazione del mondo delle famiglie con figlie e figli disabili.

Esiste nella realtà una moltitudine di madri, che ai vari compiti che la società loro delega, aggiungono il prestare pesanti cure ai figli in gravi difficoltà. Spesso nella completa solitudine, perché molti padri scompaiono. Per paura, per viltà, per comodità, aggiungono all’assenza fisica molto spesso anche il mancato sostegno economico. Onore dunque a tutte queste madri.

Lo spettacolo Stabat Pater, in scena al Teatro Litta di Milano dal 10 al 12 novembre, sceglie invece di essere un faro sul mondo poco noto dei padri che responsabilmente vivono le difficoltà quotidiane, pratiche e mentali, di un accudimento straordinario.

Sono rappresentate due solitudini nella semplice scena con un grande ottagono, sulle spalle del figlio verso la fine dello spettacolo, che visualizza il carico della fatica.

Il padre (Manuel Ferreira), in un soliloquio solitario e spesso disperato, grida rabbia, amore, dolore, forza, rassegnazione, speranza. Nella notte, costretto alla veglia dai malesseri del figlio, affronta tutti i fantasmi della discesa angosciante nei propri abissi interiori.

Il figlio per un’ora intera è impersonato in modo straordinario da Gioele Cosentino, con tratti spastici di incredibile e straziante realismo. E’ a modo suo un danzatore che non cammina, non parla, non controlla i propri gesti. Certamente pensa, ma in modo misterioso, chiuso in un suo mondo, solitario e apparentemente inesplorabile (“Ma tu, chi sei?” si interroga angosciato il padre).

E’ la sofferenza di padri smarriti e defraudati due volte dal destino: la prima quando scoprono un figlio diverso da quello sognato e la seconda quando capiscono di non poter trasmettere la propria esperienza per far crescere un altro essere umano. Per questo nello spettacolo, quando il padre si interroga su quale ricordo di sé lascerà al figlio, si materializza comunque una immagine di speranza. “Io spero che ricorderai le mie braccia come le corde elastiche di un ring, che ti hanno trattenuto proteggendoti e con la loro elasticità ti hanno restituito energia”.

Questi uomini, questi padri abbandonano gli schemi della mascolinità alfa, vincente, senza dubbi. Vivono invece smarriti, nel coraggio diverso della fragilità e della solitudine esistenziale con cui si affrontano i drammi della vita

E’ un racconto spesso teso, in perenne disequilibrio tra emozioni opposte.

La rabbia per le difficoltà esterne imposte da una società spesso ostile, che occupa i parcheggi riservati, o da una burocrazia che richiede ogni anno la certificazione di una invalidità permanente, disseminando ulteriori ostacoli in una vita già complicata.

Resta tuttavia indomabile il desiderio di stabilire comunque un contatto, di trasmettere e ricevere calore, di coltivare il sollievo di una qualche speranza.

In queste vite segnate spesso si ripete (si deve, per resistere?) che “non fa niente”. E invece non è vero: perché tutto fa veramente tanto male.

Figli diversi, che ci mettono alla prova. Sono “personal trainer” che nella sofferenza fanno sgorgare energie insospettate. E un amore totale e incondizionato.

Guido Buttarelli

Progettato e messo in scena dalle compagnie Alma rosé e Sanpapiè
di Elena Lolli e Manuel Ferreira
regia Claudio Orlandini
con Manuel Ferreira e Gioele Cosentino

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