IL SUCCESSO DEL NUOVO SPETTACOLO COMICO – SOCIALE DI A. GROSSO AL TEATRO DEI SERVI. ESERCIZI FISICI, PRIMARIE EMOZIONI E DESIDERIO DI LIBERTA IN UNA COMPAGNIA DI PAZZI

Data:

15 NOVEMBRE – 27 NOVEMBRE 2022 al Teatro de’ Servi di Roma

Uno dei lemmi più ricorrenti oggi è il termine guerra che da febbraio per l’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina sta tenendo in agitazione l’Europa, in quanto non si vede ancora uno spiraglio di pace e si sia temuto l’allargamento del conflitto alla NATO per le schegge del razzo che hanno colpito il territorio polacco al confine con Leopoli; per fortuna poi s’è accertato che apparteneva alle Forze Armaste Ucraine pur se era stato colpito da un missile russo e quindi si trattava d’un deprecabile incidente, che il Pentagono americano ha saputo accertare a dovere. Speriamo che la distensione tra la Russia e gli USA vada avanti, mediante l’intervento terzo di Erdogan e di Ji Xi Ping, sicché si possa arrivare almeno ad una tregua soddisfacente per entrambe le parti. La tematica è stata, però, ripresa virtualmente sul grande schermo dove il regista Zanasi ha ideato come sceneggiatura “La guerra desiderata” con gli stupendi interpreti Leo, commerciante di vongole, e Battiston capo paramilitare che innestano un’impresa commerciale con tanto di mortificante burocrazia all’interno d’una ipotetica lotta civile tra le strade metropolitane ed un altrettanto surreale guerra contro la Spagna, che ci rimanda a coloro che si divertono con fantomatiche esercitazioni militari nei nostri boschi, alle preoccupazioni affettive per i cari parenti che vi si trovano coinvolti, per fortuna Alessandra Piperno è rientrata sana e salva a casa, come pure al pacifismo dei figli contro i padri ed all’immancabili “love story” che nascono all’interno di sconvolgenti vicende. Da questa  problematica d’attualità ha preso spunto il geniale e fecondo quanto a soggetti neorealistici autore ed attore Antonio Grosso che, con la sua formazione teatrale al completo e capace d’intrattenere con allegro spasso il pubblico, anche se sviluppando un copione scabroso, ha ripreso il naturale posto sul palcoscenico, per presentare in prima nazionale agli spettatori la sua nuova commedia “Una Compagnia di Pazzi”, dopo il trionfo con oltre 500 repliche in tutta Italia di “ Minchia Signor Tenente”. Logicamente , come detto, l’idea è sempre il conflitto bellico , ma qui ci troviamo nel 1945 quasi alla fine della seconda guerra mondiale o strategicamente chirurgica e “lampo” per i bombardamenti di precisione e l’incursioni veloci per colpire e ritirarsi, grazie ai sofisticati radar, sommergibili “U BOT” e macchine da scrivere “Enigma”, il cui cifrario in “chiave” fu decodificato da Irving, che poi si sarebbe avvelenato con la mela al cianuro. Lo spazio ristretto è quello d’un manicomio ai piedi del Matese tra la Campania e la Basilicata, che dovrebbe essere chiuso essendo rimasti tre soli pazzi e due infermieri, che devono provvedere al sostentamento delle loro famiglie e quindi accettano di buon grado la situazione, legata al fatto che il Direttore è amico del Prefetto. Per mostrare al dirigente che combinano qualche cosa non solo solidarizzano giocando con i pazienti, ma fanno loro compiere elementari e puerili esercizi atletici per tenerli svegli ed attivi secondo il motto latino “Mens sana in corpore sano”.I tre malati sono d’estrazione sociale e condizione sanitaria assai diversa : Umberto   silenzioso ed avverso con fierezza politica al regime del Duce, che era stato appena liberato dalla sua coatta segregazione a Campo Imperatore con i Tedeschi che s’aggirano nella zona, al confine della linea “Gustav”, sentendosi nel finale secchi colpi di mitragliatrice, ricoverato reputandolo simpatizzante per i Gruppi Partigiani;  Federico di 60 anni che proferisce soltanto poche ed incomprensibili parole, ivi rinchiuso poiché omicida d’un gerarca fascista. Non manca poi Benni, detto Nico per la sua bassa statura ancora ragazzo e lasciato fin dalla nascita dalla madre nei nosocomi psichiatrici invece che nelle classiche e storiche “ruote” dei conventi che permetteva alle suore d’allevarli e crescerli moralmente e costituzionalmente per darli poi in adozione, alla guisa di quanto spesso accade anche oggi. Codesta simpatia, o meglio empatia di base, solidarietà e mutuo divertimento con Benni invitato sovente a celarsi per giocare a nascondino, viene una settimana al mese interrotta dal mefistofelico, arcigno e minaccioso direttore che li opprime con il peso della sua autorità e li umilia  sfottendoli, con esplicite allusioni alla loro patologia di reietti sociali. Loro desidererebbero reinserirsi nel consorzio civile, come avvenne dopo con la Legge Basaglia e la chiusura dei manicomi psichiatrici, quale il S. Maria della Pietà a Roma, al punto che in assenza del Direttore Benni scopre la combinazione della cassaforte nel suo studio ed ardirebbe scassinarla per fuggire con il previsto  bottino, incitando i compagni a dargli man forte nel supposto piano d’evasione. Tuttavia il sopraggiungere del funzionario che scopre l’intento prefissatosi dai degenti e vuole sparare a Benni pare incanalare la “pièce” sul piano della tragedia, che sarà evitata unicamente per un colpo di scena conclusivo relativo alla personalità ed identità etnica del Direttore che toccherà emotivamente la sensibilità di siffatti “minorati” mentali. Sublime e sinesteticamente ossimorica con il frastuono degli spari è la superba scena finale del fioccare la neve, che l’ingenuo animo di Nico aveva sempre sognato di veder cadere. Lo spettacolo che affronta con ironico umorismo un inquietante problema sociale, come quello della schizofrenia paranoica che porta ad agire i “serial Killer” o coloro che troppo facilmente usano le armi alla maniera delle stragi universitarie nei “campus” americani od in Brianza nel supermercato ove restò ferito un calciatore del Monza per invidia dell’altrui felicità da parte d’un travagliato psichico, similmente al duplice omicidio di Lecce per la gelosia della gioia d’un arbitro con la sua fidanzata scatenatasi nell’amico della coppia , resterà in scena fino al 27 novembre, con l’interno dell’istituto disegnato da Alessandra De Angelis, al teatro de’ Servi di Largo Chigi.

Giancarlo Lungarini.

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