Trieste, 27 maggio 2023, Sala Victor de Sabata – Ridotto del Teatro Lirico Giuseppe Verdi
Come esprimere a parole un’esperienza profonda e complessa, vissuta nella musica?
Per tentare, è necessario darsi tempo, mettere distanza tra l’evento e il momento della scrittura, provare ad analizzare qualcosa che nella sintesi si è rivelato potente e dolcissimo: il racconto, attraverso pagine di ogni tempo (brevemente inframmezzate con citazioni tratte dai suoi innumerevoli testi), della lunga e articolata biografia di un grande intellettuale a un anno dalla sua scomparsa.
Boris Pahor (1913-2022), scrittore triestino di lingua slovena, tradotto in numerose lingue, arrivò con gran ritardo ai lettori italiani.
Visse in prima persona gli episodi più tragici del Novecento e li superò grazie a un’irresistibile speranza, saggiamente composta con una serena fiducia, nonostante tutto, verso il genere umano; ed è stato forse proprio questo l’elemento guida per la costruzione di un indimenticabile concerto presentato lo scorso 27 maggio a Trieste, nella sala Victor de Sabata – Ridotto del Teatro Lirico Giuseppe Verdi.
Vikra, coro da camera della Glasbena Matica di Trieste diretto da Petra Grassi, ha voluto arricchire con ulteriori brani il programma originario, commissionato dal Teatro Comunale Pavarotti-Freni di Modena ed eseguito con gran successo il 21 gennaio scorso.
Chiaramente diviso in tre parti (Con gli occhi di un bambino, Nella notte scura, Il miracolo di ciò che siamo), ripercorre l’esperienza biografica dell’autore a cui il concerto è stato dedicato.
Un omaggio a tutto tondo, perché la musica ha dato spazio anche alle sue parole: brevi citazioni scelte con perizia da Dunja Nanut e lette magistralmente – in sloveno e in italiano – da Tamara Stanese.
Un concerto lungo che non si sarebbe voluto finisse così presto, in cui l’amore per la musica, espresso da un’interpretazione attenta e rispettosa, è stato ricambiato dall’amore della musica stessa nei confronti di chi le ha dato voce da una parte, e di chi l’ha ascoltata con gratitudine dall’altra.
Come la montagna è capace di rispondere con sublime bellezza a chi vi si accosta con rispetto e attenzione, percorrendola con serietà e competenza, ma cercando al contempo di superare costantemente i propri limiti, così la musica sa restituire, moltiplicandolo, un analogo rispetto, una stessa intenzionalità.
A beneficiarne, in questo caso, non è soltanto chi la studia, la conosce e la interpreta, ma anche chi, spettatore, ha il privilegio di condividere, di riflesso, l’esperienza.
Ci si è ritrovati avvolti, abbracciati dalla verità, dalla bellezza, dall’umanità e dalla bontà, parole scritte da Boris Pahor e lette nell’ultima lettura della serata: un doppio omaggio, allo scrittore e alla musica, da parte di una compagine vocale di giovani, chiaramente matura non soltanto dal punto di vista tecnico e interpretativo (il livello qui è altissimo, in grado di offrire con naturalezza pagine musicali di indubbia complessità), ma consapevole anche di una responsabilità etica; ed ecco che la voce diventa strumento di incontro, proteggendosi così, con umiltà e disciplina, dal rischio di cadere nella vanagloria o nell’arroganza.
L’amore di una musica cantata dalle voci umane e dagli strumenti (il pianoforte di Martina Salateo, il flauto di Marco Obersnel – anche corista – e il violoncello di Sanja Repše) ha esposto tutti i presenti alla possibilità di riflettere sulle profondità dell’esistenza umana, di esplorare gli abissi e le altezze più estreme.
Perché, diretto dalla estrema sensibilità artistica ed esistenziale di Petra Grassi, Vikra accompagna il pubblico in un mondo magico, nel quale il suono è guida per conoscere l’Essere Umano, le sue fragilità, il suo cadere e rialzarsi, il suo gioire e disperarsi, il suo rinascere ogni volta nella speranza di essere un po’ migliore.
La condivisione di un patrimonio comune, arricchito anziché depauperato dalla convivenza di codici linguistici diversi, è la cifra caratterizzante, l’intera esperienza di questo Coro, luogo di incontro di personalità forti, di giovani donne e uomini autonomi e responsabili, di persone libere che, liberamente, scelgono di farsi dirigere da una donna in grado di portarli sempre più lontano, in luoghi che come singoli individui non potrebbero raggiungere, in un’ideale cordata che dopo nove anni dalla fondazione, continua a risultare stabile e forte.
Come riuscire, veramente, a esprimere con le parole tutto questo?
Paola Pini