Dopo il bel successo de L’Incoronazione di Poppea, un altro appuntamento del cartellone del 40° Festival Monteverdi attira l’attenzione dell’ascoltatore curioso e appassionato: Roma Travestita, che mette al centro Bruno de Sá, sopranista e il Complesso Il Pomo d’Oro, diretto da Francesco Corti. Lo spunto del titolo guarda al periodo storico in cui negli Stati Pontifici era interdetto alle donne calcare i palcoscenici teatrali, con il conseguente utilizzo di uomini en travesti, sopranisti o contraltisti, a interpretare i ruoli femminili. Aldilà dell’ambiguo titolo, il concerto è un’immersione, accanto a brani strumentali, nelle arie del repertorio dei castrati, nonché esemplificazione del livello e abilità che la voce di controtenore ha raggiunto nell’ultimo decennio. Il sopranista Bruno de Sá e il Direttore Francesco Corti hanno impaginato un programma con brani che spaziano dal primo seicento di Monteverdi, fin oltre la metà del ‘700 di Piccinni e Galuppi, passando per Corelli, A. Scarlatti, Arena, Porpora, Hasse, Bononcini e Vivaldi. Nel meraviglioso Auditorium Arvedi dalla perfetta acustica, la serata ha preso avvio rendendo omaggio al genius loci con il monteverdiano Orfeo: Dal mio Permesso amato in cui il sopranista mostra subito le caratteristiche della sua voce, svettante nel registro acuto (con qualche fissità di suono), dalla gradevole espressività e patetismo nel brano composto dall’inventore dell’opera lirica. Dal Xerse di G. Bononcini, Frondi tenere… Ombra mai fu – dalla linea musicale meno sensuale e di senso panico rispetto al più tardo e celebre brano di Handel -rispecchia le caratteristiche melodiche di Bononcini di semplice purezza nel canto e patetismo, resi dal controtenore piegando la voce in sapiente utilizzo di piani e pianissimi. Impeccabile “messa di voce” (anche se il suono non vibra ma resta fisso), coronata da trillo. Dopo la Sinfonia da Telemaco resa in maniera brillante, Dì che sogno, o che deliro dalla Griselda sempre di A. Scarlatti; aria in tempo veloce in cui la voce suona un po’puntuta, sonora quando scende ai gravi, ma tendenzialmente spinta sugli acuti, emessi sempre a piena voce. Velocità acrobatica nella coloratura, ma leggermente spianata. Segue Senza l’amato ben dal vivaldiano Il Giustino, dal tenero patetismo reso in tratti superficiali, mai con senso profondamente espressivo. Da Achille in Sciro, del poco conosciuto Giuseppe Arena, vien inserito nel programma Del sen gl’ardori nessun mi vanti, brano che Bruno de Sà agisce con brio e coquetterie, civettando con il pubblico in gustosa mimica facciale e irrefrenabile gestualità attorale che strappa applausi. Di Nicola Porpora, da Carlo il Calvo, l’aria Vorresti a me sul ciglio, dallo sfrenato brio che il cantante rende ancor più elettrizzante con una rapida vocalizzazione, al limite di rapinosa isteria, che travolge il pubblico e lo porta a liberatoria ovazione. E’ la volta di Johann Adolf Hasse, dal Cajo Fabricio pezzo in tempo veloce Non mi chiamar crudele con belle ribattiture (anche se alla lunga l’effetto è un po’ eccessivo) e trascinanti volate ascendenti e discendenti. Da La Buona figluola di Niccolò Piccinni, Furie di donna irata brano che meglio di tutti gli altri calza, esaltandola, la vocalità pirotecnica del sopranista, che privilegia acrobatismi e tecnicismi, a volte esasperati, a scapito di una partecipazione emotiva più profonda e avvolgente. Esibisce picchettati sicuri, ma non sempre brillanti e nell’esasperare la spericolata vocalizzazione (non sposata all’espressività) ne scapita il senso del fraseggio, irato sì, ma in superficie, e della sensualità. Gusto nella scelta di brevi variazioni nella ripresa, (attacco un po’ tremebondo), ma esagera poi in abbellimenti che incrinano lo stile del brano. Ovazione meritata. Il pubblico entusiasta richiama l’esecutore in sala sperando in concessione di un bis: Son qual nave dall’Artaserse di R. Broschi, tempestata di velocissimi vocalizzi (non sempre sgranati), che si fa rimarchevole nella ripresa per il superbo legato mostrato nella lunghissima tenuta di fiato, nel frattanto infiorettata di melismi. Non si può chieder di più. A ri-ovazione. Il concerto aveva la preziosa collaborazione dell’ensemble Il Pomo d’Oro diretto con pertinenza e passione da Francesco Corti, che trova momenti eccellenti in Corelli del Trio Sonata op.3, dal toccante inizio e rimarchevole tempo largo. Di Vivaldi nell’eccellente resa della Sinfonia de Il Giustino, dal frenetico incipit, e ammaliando con Baldassarre Galuppi nel Concerto a quattro, portandoci nella gustosa atmosfera veneta del declinante settecento. All’Auditorium Arvedi di Cremona.
gF. Previtali Rosti