Anche Herbie Hancock per i 50 anni di “Umbria Jazz”

Data:

Umbria Jazz Festival, Perugia, Arena Santa Giuliana. Domenica 9 luglio 2023

Poteva forse mancare il vecchio Herbie, storico amico del Festival e mito vivente del jazz, alle celebrazioni per il cinquantesimo anniversario di “Umbria Jazz”? No di certo! Perciò, eccolo nuovamente sul palco dell’Arena Santa Giuliana, a un solo anno di distanza dall’ultima partecipazione. E più scattante e in forma che mai, a dispetto delle 83 primavere che si porta sulle spalle.

Prima di Hancock, per cominciare al meglio una serata di grande musica, si è esibita – prima volta a “Umbria Jazz” – la cantante afroamericana Somi, che per un’ora ha deliziato il pubblico con la sua voce portentosa, in grado di raggiungere vette inarrivabili per estensione ed espressività. Un canto, il suo, ispirato alla grande Mirian Makeba, “Mama Africa”, alla quale ha dedicato il recente album Zenzile: the Reimagination of Miriam Makeba (2022), da cui ha tratto la bella versione soft, spogliata dell’esuberanza originaria, del classico makebiano Pata Pata. Ottima la band di supporto, con in particolare evidenza la prova del pianista giapponese Toru Dodo, acclamatissimo dagli spettatori.

L’atteso momento di Herbie Hancock è scoccato intorno alle 23. Di nero vestito e in formazione a cinque rigorosamente elettrica (tastiere, chitarra, basso, batteria e tromba), il pianista di Chicago, empatico e comunicativo come sempre, ha introdotto il concerto con un breve monologo, nel corso del quale ha anche lanciato un messaggio sociale all’insegna dell’uguaglianza. Il “viaggio cosmico” è poi cominciato con un medley di alcune sue composizioni passate, tra cui Textures, Butterflies e l’immancabile Chameleon. A questa spettacolare suite di apertura ha fatto seguito l’omaggio all’amico e collega Wayne Shorter, il grande sassofonista scomparso nel marzo scorso, di cui Hancock ha proposto la celebre Footprints, un vero e proprio classico. Dopo questo passaggio più squisitamente jazz, l’artista ha fatto un salto nei “suoi” anni Settanta; prima in quelli fusion, con una versione di Actual Proof ricca di improvvisazioni, poi in quelli più funky del periodo vocoder (il riferimento è all’album Sunlight del 1978), strumento che ha utilizzato per cantare Come Running to Me, concedendosi anche uno spiritoso assolo vocale (alla fine del brano, con gli altri strumenti in silenzio, si è messo a pronunciare frasi banali e totalmente slegate dalla canzone, ma comunque cariche di suggestione sonora: magia del vocoder, che ha reso melodiose anche le sue risate…).

Gran finale, come di consueto, con l’apoteosi funk di Chameleon, proposta in una versione molto lunga e contrassegnata dai pirotecnici duetti tra la mitica tastiera Roland bianca di Herbie e la chitarra elettrica di Lionel Loueke. Di grande impatto anche la prova degli altri musicisti: il trombettista Terence Blanchard, il bassista James Genus e il batterista ventenne Jaylen Petinaud. Un’ora e mezzo di grande musica, ma con un solo, piccolo appunto: la scaletta del concerto si è rivelata un po’ troppo simile a quella – per chi c’era – dell’esibizione dell’anno scorso. Ma a Herbie questo lo perdoniamo, perché poterlo ascoltare dal vivo è sempre e comunque un’esperienza emozionante e da ricordare.

Francesco Vignaroli

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