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Priorità della vita con Michele La Ginestra. Ottimo cast ne “Il malloppo”

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Savona. Sarà “Il piacere dell’attesa” di Michele La Ginestra la prossima commedia in calendario al 57° Festival teatrale di Borgio Verezzi. Un’unica serata, martedì 18 luglio (alle 21.30), con tre universi che si incontreranno, si scontreranno e confronteranno, per una riflessione sulle priorità della vita. Sul palco, La Ginestra sarà accompagnato da Manuela Zero e Ariele Vincenti (nella foto di Alessandro De Luca Rapone), sotto la regia di Nicola Pistoia e le scene di Teresa Caruso. Un testo divertente (con regista e autore risate assicurate), garbato ed emozionante che punta sul protagonista Giacomo, un giardiniere che parla con le piante e ha grande rispetto per il tempo dell’attesa, che fa parte del ciclo biologico. Il suo assistente non è così: Aldo è in balia della routine, così come gli impone la madre. Ad acuire le differenze arriva Camilla, donna in carriera, 40 anni, perennemente al cellulare.

Al 55° Festival l’anteprima di “È cosa buona e giusta”, che apriva la rassegna, portava la sua firma e quella di Adriano Bennicelli. L’anno precedente aveva debuttato con “M’accompagno da me”: comicità e sarcasmo, sotto la scenografia di un carcere. Nei suoi allestimenti sempre tanta sensibilità; non a caso è direttore artistico e fondatore di Teatro 7 a Roma, che nasce per educare i ragazzi a crescere interiormente, favorendo scambi e integrazioni (prenotazioni per lo spettacolo allo 019.610167, biglietteria@comuneborgioverezzi.it).

Ma andiamo all’ultima prima nazionale che è andata in scena in piazzetta Sant’Agostino, “Il malloppo” di Joe Orton, traduzione di Edoardo Erba e regia di Francesco Saponaro. Una commedia surreale, dissacrante, per una critica spietata alla società inglese degli anni Sessanta, che ha visto recitare un ottimo cast: Gianfelice Imparato, Marina Massironi e Valerio Santoro, accompagnati egregiamente da Giuseppe Brunetti e Davide Cirri. Un’ora e quaranta di rappresentazione senza intervallo, in una trama che dà ben poca tregua agli attori, e che vede una povera salma “strapazzata” in tutti i modi, ora appesa a testa in giù nell’armadio, ora trascinata per la stanza, ora spogliata dalle bende. Il problema è riuscire a far posto, nella bara della defunta (moglie e mamma), al malloppo frutto di una rapina in banca. I colpevoli? Il figlio della defunta e un suo amico. Ma a spartirsi i soldi ci sarà qualcuno in più.

Curiosamente, ho appena finito di leggere “Dalla parte di Alba” di Michela Monferrini, dove Carlos Manuel de Céspedes y de Céspedes dice alla figlia scrittrice: “A volte il carcere è l’unica dimora possibile per i giusti”. Questa la morale che si accoppia bene anche al “Malloppo”, in una trama dove alla fine uno solo è innocente e sarà quello che finirà in galera. Perché, e lo dice chi è bene informato, di che cosa sarà accusato poi si vedrà, non è questo il problema, il problema è toglierlo di mezzo.

Gianfelice Imparato è l’ispettore Truscott, che si intrufola in casa come impiegato dell’Azienda Pubblica Acque Potabili, perché alla polizia non è consentito entrare senza un mandato, all’Apap sì. Sarebbe anche un bravo ispettore, da tempo sulle tracce di chi semina morte, peccato che…

Marina Massironi è Fay McMahon, infermiera referenziata, religiosa in apparenza, che non esita a indossare gli abiti della morta e vorrebbe maritarsi col vedovo per la sua ottava volta. Per convincerlo, lo avvisa che la defunta, in punto di morte, l’ha lasciata erede di tutto.

Valerio Santoro è il marito Mr McLeavy, che ama le rose, Dio e la famiglia, e fino alla fine prova a difendere il figlio Hal, ragazzo incapace di dire bugie (Giuseppe Brunetti). A svuotare la tomba della madre per far posto ai soldi, Hal non si fa scrupoli, così come, del resto, l’amico suo Dennis (Davide Cirri), che ama i soldi e le donne, e vorrebbe tanto essere lui l’ottavo marito dell’infermiera.

Tante battute da teatro dell’assurdo che divertono il pubblico in Piazzetta, posti esauriti anche per la replica di stasera, domenica 16. Costumi di Anna Verde e scene di Luigi Ferrigno quantomai appropriate: scarne, con la bara al centro in mezzo a piloni illuminati, qualche seggiola e un grande tendone che di volta in volta scopre una porta, un armadio, una grande finestra, ed è racchiuso in una cornice anch’essa presto illuminata. D’altronde, staticità non ce n’era, tanto era rocambolesco il ritmo seguito dagli attori e, ad aggiungere vivacità al tutto, la salma che si spostava qua e là o la tomba che ruotava per nascondere una falla (che rischiava di mostrare il bottino).

Un cenno a parte meritano le luci di Antonio Molinaro, diversi i colori nei piloni e nella cornice a seconda del momento, per aumentare l’effetto di una battuta, una rivelazione, un cambio di rotta nella trama. Un ricorrere alla luminosità sfruttato al massimo, in maniera egregia, un’accuratezza troppe volte sottovalutata.

Applausi meritatissimi nel finale, per una recitazione convincente. E, al commiato, un ricordo al regista Alessandro D’Alatri, mancato lo scorso maggio, che già aveva diretto Santoro e Imparato in “Uomo e galantuomo” di Eduardo De Filippo, al Festival 2013, poi anche miglior spettacolo di stagione (Premio Camera di Commercio).

Laura Sergi

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