Eduardo e Cristina, scintillante inaugurazione del 44° Rossini Opera Festival

Data:

Pesaro – ROF 2024, Arena Virtrifrigo 11 agosto 2023

Con la nuova produzione di Eduardo e Cristina, il ROF aggiunge la trentanovesima stella all’illustre palmares di titoli rossiniani proposti in tanti anni di benemerita quanto proficua attività. Lo fa presentando in prima esecuzione assoluta l’opera, nell’edizione critica di Andrea Malnati e Alice Tavilla, a svelare altra ricchezza nella partitura da come si conosceva, per l’ascolto delle due esecuzioni circolanti. Composizione rossiniana capziosamente etichettata come “centone” o “pastiche” per l’usuale pratica degli autoimprestiti. A Eduardo e Cristina, andata in scena per la prima volta al Teatro S. Benedetto di Venezia, nella stagione di Primavera del 1819, arrise un felice esito che la porterà a essere replicata fino alla fine del 1830. Tra le riprese più importanti si ricordano quella del 1822 al Teatro Regio di Torino con Giuditta Pasta nel ruolo di Eduardo e quella del 1828 alla Scala con Carolina Ungher. Al ROF pesarese, perdurando l’inagibilità della sala storica del Teatro Rossini, gli spettacoli della stagione trovano ospitalità nello spazio Vitrifrigo Arena in cui si fanno miracolose acrobazie tecniche per simulare e riprodurre (in miglior modo) l’atmosfera che si respira in una sala teatrale. L’acustica, viziata inizialmente da un fastidioso riverbero delle voci (più che del suono orchestrale) trova nel prosieguo una sua sostanziale standardizzazione cui l’orecchio va via adeguandosi, grazie all’energia trasmessa dagli interpreti dello spettacolo e al direttore d’orchestra. L’attacco delle prime note dell’Ouverture sbalza l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI sul velame nero che fa da sipario. Un frizzante dinamismo la percorre, sprizzando energia ed eleganza in serrata concertazione. Il Maestro cremasco Jader Bignamini profonde nella partitura la passione e la convinzione nella stessa che lo pervade, ottenendo una resa orchestrale scattante e sostenuta, un suono rotondo e sempre brillante, spargendo a piene mani brio e in cui non vien mai meno l’intensità dell’incalzante tensione scenica. La maggior parte degli esecutori rossiniani ha ormai acquisto una proprietà di esecuzione  della prassi rossiniana (grazie al quarantennale ROF, soprattutto per l’opera seria) cui non fanno eccezione quelli del cast di Eduardo e Cristina; guidati dalla perfetta intesa con il direttore sanno scegliere pertinenti e personali (alla loro voce) variazioni, obbligato apporto alle riprese di arie o concertati. Cristina è dotata di un’ottava superiore privilegiata, quella di Anastasia Bartoli: voce piena e omogenea nei vari registri, fraseggiatrice partecipe e dalla fluida vocalizzazione. Subito in scena si fa notare per l’incisività d’accenti e dal recitativo E’ svanita ogni speme mostra dovizia di suono e di scintillante timbro; voce penetrante e ben proiettata capace di “correre” per la sala infelix, capace di smorzare a sfaccettare un’appassionata interpretazione. Spicca nel successivo duetto Deh, quel pianto raffrena – Di quei soavi sguardi, dove la voce si fa calda e passionale a contrasto del timbro meno penetrante del contralto, in un momento di pura estasi musicale; esempio di eterea sospensione (di cui Rossini è maestro e campione) in cui gli affetti debordano e prendono il sopravvento sull’azione. Esempio di puro Belcanto, che terminerà, nel senso più stretto, appunto con Rossini. Signor, deh! moviti, trascinante finale primo nel turbinoso e travolgente ritmo orchestrale (cui il pesarese ci ha abituati) è esaltato e suscitato da Bignamini al calor bianco. La Bartoli aggiunge il climax nella scena del carcere, nell’emozionante recitativo accompagnato Ah no, non fu riposo! Che rende con tragica intensità. Accanto a lei un Eduardo carente in basso e di ormai ridotto volume di voce quello di Daniela Barcellona, il cui strumento vocale suona meglio nell’ottava superiore, mentre i bassi sono artificialmente ampliati, ricorrendo all’uso di suoni poitrinè.  Buona la coloratura, anche se leggermente faticata, ma si deve riconoscere che la voce “corre” poco e il suono resta là sul palcoscenico. Incisiva e riconosciuta la dizione e il fraseggio, in cui fa valere una pluriennale esperienza e sagacia interpretativa. Il timbro tenorile terso e teso di Enea Scala, domina l’acuta parte di Carlo padre e Re, con una calzante prova in Di esempio all’alme infide, dove la dirompente rabbia repressa trova esemplificazione in suoni taglienti, in espressiva vocalizzazione e acuti squillanti. Dopo lo stupore sa virare, in sapida alternanza, verso amari e dolenti accenti in All’eccesso della pena, mentre sul fondo i mimi e il coro compongono un tableau vivant che molto s’ispira al gruppo del marmoreo Laocoonte vaticano. Atlei era Matteo Roma dalla pulita linea di canto, buon legato, nell’aria Da nume sì benefico: squilla in alto, inserendo pirotecniche variazioni nella ripresa. Meno entusiasmante Grigory Shkarupa quale Giacomo; puntuale nell’aria solista Questa man la toglie a morte, ma non particolarmente personale nel fraseggio dei recitativi. Bella prova del Coro Ventidio Basso di Ascoli Piceno, sempre preciso e morbido, con bella prova in O ritiro, punteggiata di mimi in originale coreografia. Senza investigare in inani messaggi, il regista Stefano Poda (sue anche scene, costumi, luci e coreografie) non cerca false attualizzazioni ma tratta Eduardo e Cristina alla stregua dell’investigazione di un’opera d’arte moderna. La scena, impianto fisso di gran bassorilievo marmoreo e pseudo cadaveri incastellati in teche, si presenta di rarefatta avvincente astrazione in cui spiccano i costumi bianco gesso e nero screziato. Forte presenza hanno i mimi danzatori, a cominciar dai movimenti sincroni alla sinfonia che introduce Eduardo, di marziale andamento.  Gabbie metalliche in cui passeggia il bambino Gustavo e Cristina sale anch’ella; torsi di buste e statue in teche vitree in abbarbichi e abbracci.  Alla lunga l’eccesso di esposizione di mimi (anche là, scena del carcere di Cristina, dove altro non servirebbe che staticità e vuoto – per lasciare alla sola musica e canto il compito di saturarci e anima e occhi) finisce per far svanire i convincenti momenti precedenti. La serata termina in un abbraccio marmoreo e Anastasia Bartoli fa gustare eleganti variazioni nel ripetuto finale. Successo caloroso per tutta la compagnia, soprattutto per le due protagoniste e il Direttore Bignamini.

gF. Previtali Rosti

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