Il carro di Tespi e il collage delle commedie di Molière in “L’avaro immaginario”

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Si seguono sempre con la massima attenzione le opere che trattano gli aspetti principali, i caratteri, di un’epoca ed il passaggio da una fase storico – letteraria ed artistica ad un’altra, come nel caso del lavoro che abbiamo osservato alla prima del Parioli derivato dalle commedie di Molière e dallo studio di Luigi De Filippo, che fu l’anima pulsante di quel teatro, sugli individui del Seicento nella vecchia Partenope che era abitata nei quartieri spagnoli e nella piazza del Mercato da poveri, straccioni, mendicanti e barboni, ambulanti del commercio.  Erano vessati dalle gabelle degli iberici per la loro miseria ,invece dei baroni terrieri, contro cui si ribellò il pescatore Tommaso Aniello, detto Masaniello che poi fu messo a morte nel 1648.Si tratta quindi del passaggio dal Rinascimento al Barocco del Bernini, Borromini  e Bramante, dalle maschere e dagli “zanni” della commedia classica ai prototipi dei personaggi umani con i loro specifici tratti distintivi in Molière e nella tragedia di Shakespeare, al punto che i nomi di Romeo e Giulietta risuonano nella pièce. Proprio a Jean Baptiste Poquèlin alias Moliere è dedicato l’adattamento antologico di Enzo De Caro dai prioritari capolavori del commediografo transalpino che visse alla corte di Luigi XVI e fu incaricato da “RE SOLE” di creare la “Comediè Francaise”cacciando i girovaghi ed erranti artisti italiani che, fuggendo dalla peste seguita a quella nera e pandemica del 1348, si recavano verso il Paese della Torre Eiffel fermandosi nelle piazze che venivano loro concesse. Appunto codesti attori di giro con il loro “carro di Tespi”  sono focalizzati in questo assemblaggio di De Caro da “L’Avaro”, che richiama la commedia di Plauto, nonché da “Il Malato Immaginario” con una crasi nel titolo, mentre i poveri artisti non sapevano come sbarcare il lunario e sfamarsi, al punto che uccisero perfino il cavallo Rolando facendolo a pezzi ed ora si sa che la carne equina fa bene. Tuttavia l’interesse di De Caro si concentra pure sulla filosofia di Giordano Bruno e l’Inquisizione. In quanto la compagnia di artisti esaminata è quella di Oreste Bruno e dei suoi fratelli discendenti come nipoti dal grande pensatore, di cui si cita l’opera “Il Candelaio” simbolo della luce mentale del filosofo posta in primo piano pure da Cartesio, che divise il mondo in “Res cogitans “ ed “extensa” per indicare il fisico e lo spirituale, la materia e la forma, congiunti dal sommo Aristotele e dalla sua Accademia sotto il portico di Atene. Gli estratti fondamentali della concezione cartesiana sono tutti presenti come accentuazione parallela alla recitazione dei lavori di Moliere, di cui si rievocano gli anni conclusivi della sua illustre esistenza. Per Bruno il mondo è assoluto ed universale per cui il Creatore non esiste ed è solo un limitato suo contenuto contingente e da qui scaturisce l’eresia cristianamente intollerabile  che costò al religioso nolano la condanna al rogo a Campo dei Fiori il 17 febbraio del 1600.S’incontrano anche streghe cenciose, vecchie megere , con le loro malefiche e superstiziose cantilene, per non dire della presenza a Parigi delle “voci bianche” quale Tiberio Fiorilli, i castrati volontari per il miglior canto che furono ugualmente espulsi e censurati per la loro condotta immorale. Speravano di poter realizzare in Francia il loro sogno di tranquilla e felice vita con il loro dignitoso lavoro, che anticipa le tournée  di oggi con le programmazioni calendarizzate all’inizio di stagione, potendo così salvarsi dai mali che c’erano negli Stati Italiani dopo la discesa del sovrano francese. Tali incontri di reietti esseri della società  testimoniano estremamente la povertà indigente che già allora era forte negli strati più bassi e s’accentuò con la fine del sistema di giro delle “carrette itineranti”, ascoltando nella fase finale dello spettacolo la morte di Molière che aveva onorevolmente assolto al compito che il Re gli aveva affidato. Si sente ancora la teoria di Bruno secondo cui non è l’energia che genera la materia, ma il contrario con lo sfruttamento delle risorse terrene mediante il lavoro, come poi avrebbe fatto il settore secondario a partire dal “luddismo”. Questa indagine sulle degradate persone umane del tempo è l’argomento centrale del lavoro insieme alla nascita del libero pensiero, che sarebbe sfociato nell’Illuminismo degli Enciclopedisti  e nella Dea Ragione del Settecento con il perno della tolleranza ideologica affermata da Voltaire con il “Candido” e la fiducia nelle sorti “libere e progressive” che invece Rousseau con il volume del “Contratto Sociale” od “Emilio” avrebbe negato. De Caro è l’interprete chiave della personalità di Oreste Bruno  capocomico di codesta avventurosa compagnia di brillanti attori viaggianti per la sicurezza fisica e la sopravvivenza economica ,gradita al grande Peppino De Filippo di cui rammentiamo la celebre macchietta di Pappagone ed al figlio Luigi che ha dato il nome alla formazione guidata da De Caro ed al Parioli, in un’operazione di valore sinergico collettivo cui partecipano, a parte il primo piano riservato come coprotagonista e consorte del fiero ed in trepido Oreste a Nunzia Schiano,  altri 6 attori : L.Bignone, C. Di Maio, M. Pagano, G. Pinto, F.Russo ed  I.Sanson. Le musiche sono firmate dal celebre maestro Nino Rota, musicista di F. Fellini per cui compose in particolare la colonna sonora de “La strada”, estrapolate dalla partitura “Le Molière immaginarie”. La regia di Enzo De Caro è perfetta per la lucida chiarezza del testo arrangiato e la sua dinamica fluidità interattiva con la stupenda recitazione , che tuttavia suppone una discreta preparazione storico – letteraria per la completa comprensione, gustosa assimilazione e riflessiva meditazione, ricordando che il ruolo del teatro è fingere riproducendo comunque autenticamente le situazioni, tematiche e vicende civili, personalità, oggetto d’investigazione critica nella rielaborazione del regista. Lo spettacolo “L’Avaro Immaginario” resterà al Parioli  fino a domenica prossima e merita culturalmente d’essere visionato.

Giancarlo Lungarini     

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