Lo scorso 15 e 16 Dicembre la Compagnia del Teatro del Cerchio di Parma ha messo in scena il celebre capolavoro de “La Peste” di Albert Camus, un’opera “da uno spettatore alla volta”: sono proprio gli attori infatti a prenderti per mano e a guidarti nel girone dantesco della Morte Nera. Lo spettacolo è nato nel 2005 ed è frutto del lavoro del regista Mario Mascitelli e dell’allora Teatro dei Filodrammatici di Piacenza.
La messinscena coinvolge undici micro-spazi su un unico palco, ognuno dei quali confina con l’altro, luoghi questi popolati da quindici interpreti tra attori e attrici che di volta in volta ci parlano della loro storia…sono popolani in attesa del nostro arrivo. Sono proprio loro a costituire il coro dei dannati, dal parroco mite e umile che legge l’epidemia come vendetta divina all’epicureo gigolò che ti invita a godere di ogni istante che la Sorte ha in serbo, dal factotum servizievole che scaccia topi dagli androni al medico che rintraccia sintomi del morbo anche sui tuoi lineamenti, dalla donna che medita il suicidio a quella che si pente poiché untrice: questa dozzina di infetti o di possibili tali costituisce un gruppo affiatato che si muove all’unisono. Ruolo non marginale lo gioca il pubblico, che è attivo ed è chiamato a rispondere agli attori, a cambiare posizione, ruolo e situazione ad ogni piè sospinto: esso- sconcertato- si chiede se sia destinato alla salvezza o all’infezione che non lascia scampo alcuno.
In conclusione, questa Peste è un’inquietante polifonia, un percorso fisico e multi sensoriale, un meccanismo puntuale della durata di mezzora in cui ogni scena è scandita dal suono di una campanella. Questo è uno spettacolo convincente che non lascia spazio alla distrazione e ricorda il celebre romanzo “L’ora di tutti” di Maria Corti: una stessa tragedia letta dai personaggi più disparati.
Chiara Cataldo