La magia di Strehler per “Il ratto dal serraglio”

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Teatro alla Scala, recita del 5 marzo 2024

Ci sono spettacoli che dovrebbero essere obbligatoriamente ripresi nel corso delle stagioni di un teatro – a monito per le generazioni di spettatori future – di come e cosa volesse dire fare teatro. Il Teatro alla Scala riallestisce Die Entfuhrung aus dem Serail Il Ratto dal Serraglio, prezioso spettacolo che Strehler ideò nel 1965 per il Festival di Salisburgo. Il successo fu enorme fin dal suo apparire sulle scene austriache: il pubblico ne fu così estasiato da non voler abbandonare la sala per l’entusiasmo. A Milano, sul palcoscenico del Piermarini, fu ospitato per la prima volta nel 1972, ripreso nel 1978 (anche al Donizetti di Bergamo), poi nuovamente nel 1994 e nel 2017, nella ricorrenza del ventennale della morte di Giorgio Strehler (regia ripresa ora da Laura Galmarini), ma anche decennale della scomparsa di Luciano Damiani (ideatore di scene e costumi). La magia afferra lo spettatore già all’apertura di sipario. Non tanto, non solo, per la grazia e l’intatta leggerezza dell’ambientazione, per le luci perfette (Marco Filibek) che contribuiscono a farne un ideale “luogo dell’anima”, ma soprattutto per l’alata ispirazione registica, che senza ombra di conflittualità e in gustosa naiveté, cura ogni gesto (mai volgare, mai inutile) con una sapienza da vero mago del teatro. Lontano da ogni velleità di attualizzazione e di letture politicizzate, Giorgio  Strehler esalta la musica e l’intreccio creando un monumento teatrale con l’utilizzo di pura fantasia e qualità inventive, tipiche dei veri uomini di palcoscenico. Conoscendo e amando la musica che andranno a rappresentare, non si sognano di forzarla o darla in pasto alla contingente attualità per aspirare a un posto nella memoria degli spettatori. Così i sentimenti dei personaggi sono evidenziati da una raffinata movimentazione, variati nell’elegante gioco di silhouettes dei protagonisti portati in proscenio, nella nobiltà di Selim, sottolineata dalla sua veste frusciante. Qualche ammicco al pubblico (La scala!) trova la sua ragion d’essere nel gioco del teatro nel teatro. E tutto trova elegantemente il suo posto in questa fascinosa tourquerie. Un fascino che è rimasto inalterato dopo mezzo secolo, a conferma dell’inalterabile classicità delle creazioni geniali. La stessa ammaliante atmosfera si è percepita nella resa musicale. Tutto ha funzionato, con una Compagnia di canto all’altezza delle attese, che fa di tutto per sposarsi con la filosofia del regista e si diverte in scena. Grande aspettativa, inutile nasconderlo, per Jessica Pratt nella parte di Konstanze che alla fascinosa linea vocale, di raffinata purezza, sa aggiungere un fraseggio e una malinconia di timbro che l’ha resa struggente e appassionata interprete. Niente la impensierisce e dopo l’aria introduttiva del personaggio, Ach ich liebte, a dar saggio di sapienza tecnica, sfoggia nel recitativo accompagnato Welcher Wechsel accenti di una malinconia commovente che anticipano la mestizia dell’aria Traurigkeit ward mir resa in profonda e dolente partecipazione. Senza soluzione di continuità Mozart chiama la protagonista a subito cimentarsi con l’aria da capogiro Martern aller Arten. Jessica Pratt sciorina tutto il bagaglio di coloratura di forza in perfette agilità, ricchezze di filati, preziosità di smorzando; ma quel che più impressiona è la resa a fini espressivi dell’impiego degli acrobatismi vocali, mai fine a se stessi, rendendo quest’aria il campionario di turgidi e travolgenti stati d’animo che rendono Kostanze una donna vera, palpitante. Si aggiunga una sagace tenuta scenica, a tratti imperiosa, da vera Diva, che riesce a coinvolgere il suo volto rendendo espressivi persino i suoi port de bras, d’importanza basilare nel gioco delle ombre sceniche. Gustosissimo Osmin di Peter Rose, dalla precisa linea vocale e dai bassi rotondi; bravo attore, divertente in scena senza mai forzare, sa attirarsi le simpatie del pubblico. Daniel Behle presta a Belmonte una voce di tenore dal timbro pieno, dalle screziature nobili ed eroiche, delinea un amoroso partecipe e coraggioso; curato il fraseggio, sempre sapido ed espressivo, con commoventi e comprensibili turbamenti e sospetti nei riguardi dell’amata. Non perfettamente nitida la vocalizzazione nell’aria Ich baue ganz, forse dovuta alle non perfette condizioni di salute. Bene anche la coppia bassa dei protagonisti, Blonde di Jasmin Delfs che senza avere un gran strumento vocale, lo usa con intelligenza, giocando la voce con agilità. Interpretazione tutta sui toni puntuti e pepati, oltre che brillanti. Pedrillo era Michael Laurenz, mercuriale in scena, se la cava bene sia nei momenti dialogati sia nel canto. Selim di Sven-Eric Bechtolf mostra dizione scandita ma non profonda, ricorrendo ad alzate di tono per simulare imperiosità senza mostrare poi vera magnanimità e grandezza d’animo.  Meglio come attore. Il mimo Marco Merlini era il servo muto. Puntuale il Coro scaligero, corrette le voci dei Solisti. Il Maestro Thomas Guggeis imprime alla partitura un flusso scattante e incisivo, rispondendo l’orchestra scaligera con bel suono argenteo e dalle architetture sonore ben dispiegate.  Nella concertazione, tutta solare, non trova posto il dubbio o un grande riverbero delle passioni dei personaggi: tutto vi scorre tranquillo e sereno, tolto l’accompagnamento alla seconda aria di Kostanze, dove improvvisamente l’orizzonte sonoro si fa pregnante di struggente partecipazione affettiva. Festosissime accoglienze del pubblico per l’intera Compagnia di canto e il Maestro Guggeis, con vera ovazione dopo la sensazionale resa di Martern aller arten per Jessica Pratt.

gF. Previtali

Foto Brescia e Amisano

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