Il successo e la rapida crisi dell’oblio per Anna e Diego in “Los Farsantes” con S. Orlando”

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Finalmente è giunto allo Stabile di Roma, dopo il discreto consenso di pubblico e critica quest’estate a luglio per il Festival di Spoleto al “Caio Melisso” della Piazza del Duomo della cittadina umbra, il testo dello scrittore drammaturgo spagnolo , per la precisione madrileno, Pablo Remon intitolato “Los Farsantes”, che in italiano si può tradurre, come ha giustamente fatto Davide Carnevali, con l’esplicito significato di “I Ciarlatani” e che è coprodotto da Cardellino s.r.l., Teatro di Roma e Teatro Nazionale. Si analizza il mondo dello spettacolo con i suoi premi e riconoscimenti, focalizzandosi poi, con un gioco di scatole interne, quali le “Matrioske” russe, sulla vita e l’aspirazioni degli attori, la loro scuola sotto la guida e l’esperienza di sommi geni e maestri dell’Arte particolare, come pure le Scuole d’Arte drammatica, le fatiche per arrivare ad imporsi alla pubblica notorietà e l’altrettanto uguale rapido declino se non si mantengono l’eccellenza della recitazione e la fervida perspicacia dell’idee per comporre trame di soggetti interessanti o sceneggiature profonde e graffianti. Qui siamo di fronte infatti a due protagonisti che appartengono a due settori artistici speculari, tuttavia entrambi sono accomunati dalla medesima formazione sotto la sapiente luce del regista Eusebio Velasco di moda negli anni ottanta del XX secolo ed ora dimenticato in triste solitudine. Anna è la figlia che attraversa un periodo di blocco come partecipazione attoriale ad opere di spicco e perciò deve arrangiarsi come insegnante di pilates e piccoli ruoli in lavori per bambini. Cerca di rilanciarsi con dolci opere televisive e spettacoli di secondo piano che le consentano di scovare il personaggio storico che le assicuri di mettersi di nuovo in risalto ;infatti le viene assegnato il Premio “David di Donatello”, che ha apportato il suo contributo al lavoro insieme alla critica cinematografica Piera Detassis. Chi è che rende in pieno il travaglio psicologico e l’angoscia della turbe nervosa del fallimento, la preoccupazione della mancanza d’un gratificante lavoro, del personaggio femminile? Si chiama Francesca Botti e l’abbiamo vista all’opera con diligente impegno ed intensa, dignitosa stilisticamente, interpretazione nei vari momenti della pièce in cui raccontava le sue emozioni, i ricordi delle gioie provate e le sue speranze di tornare ai livelli positivi d’un tempo, che le hanno fruttato il David a proposito del quale lei non era nella cinquina delle migliori attrici, selezionate dalla commissione dei critici della disciplina che poi la giuria aveva valutato. La sorpresa e lo sconcerto dell’intervistatore e presentatore, rivestito nella finzione scenica dal bravo e valoroso Silvio Orlando, controfigura di Tullio Solenghi che da anni su RAI 1 conduce questa trasmissione alla fine della stagione di programmazione, è che egli non rammenta quale film abbia realizzato Anna per giustificare il premio. Ciò va inteso come una chiara denuncia del fatto che sovente più che ai singoli meriti si guarda ai compromessi e favori che ci si possono scambiare nelle giurie, similmente alle reciproche compiacenze nelle Commissioni universitarie aggiudicatrici delle cattedre nelle varie Facoltà degli Atenei. Più caratterizzato e di prima grandezza era il suddetto Diego Fontana incarnato da Silvio Orlando che , partito da pellicole commerciali, voleva girare una serie in tutto il mondo con star internazionali ; questo suo desiderio , però, è rimasto nel cassetto ed è esplosa per un sinistro accadimento un’ altrettanta grave crisi con ripiegamento su stesso e visioni allucinanti della propria mente, come quelle di Anna. Non vi è una trama, sono divagazioni e digressioni verbali serrate, intrecciate e complesse dei due protagonisti, che si sovrappongono e rimangono fini a se stesse non pervenendo ad alcun risultato. Comunque Orlando ha un’abile mimica posturale, sa ammiccare con il suo sorriso e sguardo degli occhi bene al pubblico, come nella scena finale in cui immagina d’essere il barista dell’esercizio commerciale all’interno del carcere e su cui Anna, prima portato ad immaginare che sia sua figlia, dovrebbe concretizzare il film. Come dicevamo, sono parecchie suggestioni, ipotesi narrative e tematiche con una specifica tonalità formale e tipologia stilistica che restano isolate, non si legano e pertanto lo spettacolo non ha un filo unitario, non offre uno schema argomentativo ed epilogo su cui riflettere, se non che la fortuna degli attori va e viene ed ecco il motivo per cui sussistono i vitalizi a fine carriera per coloro che vi arrivano in stato di povertà finanziaria; una legge vorrebbe abolire questa misura di sostegno del governo per responsabilizzarli maggiormente con un’oculatezza parsimoniosa nella gestione dei guadagni nei tempi buoni della loro attività. A tal proposito riveliamo a chi non lo sappia che a Milano esiste la casa di rfiposo G. Verdi per gli artisti in ristrettezze pecuniarie. Tra le storie di Anna e Diego, che conoscono veloci dissolvenze di stampo cinematografico, s’inserisce una divagazione od “excursus” dell’autore , reso dalla chiara dizione impeccabile di Francesco Brandi, che si schermisce e tutela dall’accusa di plagio, mancanza d’originalità. Siffatte storie parallele e che difettano di progressivo sviluppo crescente in sostanza ricalcano i medesimi punti chiave della considerazione da parte dell’autore iberico delle condizioni culturali del suo Paese che, fatte le debite differenze, potrebbero benissimo attagliarsi pure al nostro; soltanto in qualche circostanza le riflessioni dibattute da quelle scritte sul copione sono indipendenti e dunque rimandano più ad un romanzo divulgativo, di cui si potrebbero saltare alcune parti non incidenti sul “plot” e quindi che sembrano retoriche o superflue, al punto che le quasi due ore di spettacolo, che non costituisce uno dei migliori della progettata programmazione annuale dell’Argentina, potrebbero essere tagliate senza qualche conseguenza sulla comunicazione della realtà dell’Arte del palcoscenico e del grande schermo con l’esistenza e le vicende di coloro che vi si dedicano ed impegnano. Lo stesso scrittore riconosce onestamente questa nostra convinzione ossia che la riuscita modesta del lavoro non corrisponda pienamente all’aspirazione veramente genuina e preferibile del pamphlet letterario. Sulla scena v’è anche un quarto attore ovvero Blu Yoshimi che aiuta a far vivere una decina di personaggi in una dimensione sovratemporale e spaziale non del tutto definita, per esaminare la doppia identità relativista che gli interpreti hanno nella vita normale e nella finzione. Le poche scene che osserviamo nel corso dello spettacolo, in cui si “ciarla” per molti minuti a vuoto, sono state allestite da Roberto Crea e la commedia senza un apprezzabile “canovaccio” classico, vincolata ad una strategica invenzione fittizia per uno sfoggio intellettuale del decantato Remon, sarà visibile all’Argentina fino al 17 marzo. Remon appartiene a quel gruppo d’artisti scavalcati e dimenticati per l’imporsi delle contemporanee “Star del web” ed anche per il fatto che queste regole artistiche furono già indagate 30 anni fa da Yasmine Reza (1994) in “Art” ed infine da Nanni Moretti nel film dello scorso anno “Il Sol dell’Avvenire” in cui Giovanni specchio del regista romano sta girando un lungometraggio sul PCI degli anni cinquanta. La conclusione metaforica plausibile è che la società è basata sulla competitività anche nell’universo artistico, sui piaceri da contraccambiare e non ancora sui meriti come s’appella oggi l’Università; ogni progetto perciò deve affrontare incertezze, difficoltà ed il problema del finanziamento se non gode di opportuni agganci politici ed economici. Più interessante ed artisticamente impeccabile è stata la “performance” di Silvio Orlando nella parte del giornalista dell’Unità Sandro Molino nella pellicola “sequel” di Paolo Virzì “Un altro Ferragosto”; egli negli inserti in bianco e nero, contrapposto al colore dell’attualità sociale borghese e popolare con i Mazzalupi “parvenu” rispetto ai suoi discendenti di sinistra, ripensa al periodo della “villeggiatura” durante il Fascismo dei perseguitati politici a Ventotene e scrive alla Presidente della Commissione Europea Ursula Van der Lynden, ricandidata in questi giorni per un secondo mandato, perché salvi i reperti fossili scoperti nell’isola dell’arcipelago pontino e li restauri. Andate all’Argentina, ma non trascurate la pellicola storica e sociale con la modifica dei principi e valori civili!

Giancarlo Lungarini

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