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“Guillaume Tell” integrale alla Scala

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Fu l’ultima opera che Gioachino Rossini scrisse prima di chiudersi in un trentennale silenzio, in francese, per l’Opéra de Paris nel 1829: opera atipica nella produzione musicale del pesarese rappresenta, di fatto, l’atto di nascita del genere tipicamente francese del Grand Opéra. Guillaume Tell diverrà in seguito l’ideale riferimento – massa musicale incandescente – per i musicisti e la musica che si comporrà nell’Ottocento e oltre. In questa partitura si possono ascoltare anticipazioni di temi musicali che, sviluppati, troveremo in opere di Donizetti, Verdi etc. Il Teatro alla Scala mette in scena la versione originale francese, praticamente integrale (se non per piccoli tagli) nell’edizione critica di Elizabeth Bartlet. La stessa usata nell’ultima realizzazione scaligera del Sant Ambrogio 1988 quando fu diretta da Riccardo Muti, ma allora data nella versione italiana realizzata nel 1831 (poco dopo il debutto) da Calisto Bassi, per il Teatro del Giglio a Lucca, interprete il famoso tenore Duprez, che in quell’occasione emise per la prima volta il “do di petto”. L’ultima e monumentale opera composta da Rossini, ispirata a una tragedia di Schiller, è un lavoro di proporzioni imponenti: nell’edizione filologica, senza tagli, si estende a circa cinque ore e mezzo, intervalli compresi, divisa in quattro atti e con azioni coreografiche, momenti di danza e scene spettacolari. È la storia di un popolo che lotta per la libertà, ma al tempo stesso è quella di un padre che combatte a fianco della sua gente per la propria famiglia, riscattando la vita del figlio con un tiro di balestra divenuto proverbiale. Musicalmente non mancano, accanto a melodie immortali, tipici elementi folcloristici con un trascinante e commovente finale, in perfetto stile rossiniano. Il Guillaume Tell di Michele Pertusi, a quasi tre decenni dal debutto nel ruolo, primeggia come interprete, delineando un personaggio robusto e dall’essenzialità di fraseggio ma appare affaticato vocalmente; voce in cui si notano oscillazioni e gli acuti sono velati e carenti di squillo. Trova il momento migliore in Sois immobile in cui suscita intensa commozione. La tremenda tessitura, acutissima, di Arnold Melcthal non impensierisce Dmitry Korchak che domina la parte, fregiandosi di pregevole e precisa dizione francese; generoso vocalmente, ma non sempre impeccabile in quegli acuti e sovracuti che suonavano metallici e prevalentemente di forza. S’impegna quale interprete nel fraseggio espressivo (O ciel! Tu sais) e sciorina finezze nella ripresa dell’aria. Eccellente nel duetto con Mathilde (Oui vous l’arrachez à mon ame) in cui sa essere più passionale del soprano, mentre in Doux aveu! attacca in pianissimo la frase e il soprano lo segue, in un magico momento, sottolineato dallo stellato cielo di sfondo: acuti metallici e taglienti, sempre spinti. In Ses jours trova accenti patetici: a sottolineare l’apparizione del vecchio Melchtal, qui posto in croce. Un Asile héréditaire partecipe e dalla fascinante ripresa a mezza voce, per chiudere la defatigante prestazione con Amis, amis, secondez ma vengeance emettendo tutti di forza gli acuti. Salome Jicia offre a Mathilde un timbro lirico non allettante e ricco, voce non particolarmente risonante che pur riesce bene nel Sombre foret, partecipata e capace di vibrazioni. Corretta nelle agilità, sciorina qualche preziosa filatura, suona invece vagamente stridula quando si fa concitato il fraseggio, nella precipitosa entrata del III atto. Nahuel Di Pierro un mediocre Walter Furst di timbro e squillo. Corretto Melchtal di Evgeny Stavinsky dalla robusta voce di basso. Luca Tittoto offre a Gesler uno sciabordate volume di voce, ma il timbro è spesso opaco e disegna un “cattivo” stentoreo, con acuti che tendono a timbrarsi. Penetrante Jemmy di Catherine Trottmann, commovente e molto in parte. Hedwige di Géraldine Chauvet mostra caldo timbro, espressivo, sempre partecipe in scena. Leuthold imponente di Paul Grant, che pur sa piegare a render credibile il suo canto. Funzionale Ruodi di Dave Monaco, dal timbro limpido e voce sottile, riesce con acuti a spillo e di testa in Accours dans ma nacelle. Corretto Rodolphe di Brayan Ávila Martinez. Il Direttore Michele Mariotti, salutato da acclamazioni già dall’ouverture intessuta di raffinati preziosismi, di aeree lentezze e solenni, screziata da bagliori romantici, mostra di credere molto nella partitura e la dipana in tutte le variegate dinamiche sonore con l’aiuto dell’Orchestra della Scala in gran spolvero, raggiungendo intenso coinvolgimento. Coro della Scala superlativo, fulcro portante della serata, in quell’esplosione di preghiera del finale II, caricando gli altri momenti di patriottismo e impeti pre-rivoluzionari. Nuova la produzione, affidata a Chiara Muti che impasta casermoni claustrofobici popolati da alieni dotati di laptop luminosi (che creano, quello si, un bell’effetto luminoso) ricreando una novella Metropolis.  Cupe sempre le atmosfere dove mai filtra un raggio di luce, alla William Blake, se non nel catartico finale; incurante di mescolare mitragliette a panoplie di spade e lance. Trasforma il tiranno di turno citando la morte, qui rossa, del Settimo sigillo bergmaniano, affastellando troppa simbologia. Se l’idea che sottende lo spettacolo può essere condivisibile, la realizzazione lo è meno, con una regia senza un brillio di novità, con i soliti scontati abbracciamenti, violenza che dilaga per ogni dove mentre tutto è più acutamente espresso dalla musica. Costumi punitivi dall’eterno color cenere che appiattiscono ulteriormente la vicenda. Coreografie che vanno dallo scontato degli oscillanti movimenti di dislocati automi, all’improbabile assoluto del III atto, pur generosamente eseguite dagli allievi della Scuola di Ballo dell’Accademia scaligera. Lo spettatore, dopo lo spaesamento iniziale, non più obbligato alla ”verità storica o di attualizzazione, vive nella magia della musica, godendo della modernità di una partitura per ricercare la sostanza insita nell’opera. Pubblico attento e partecipe, che ha decretato a tutti gli interpreti una calorosa accoglienza finale.

gF. Previtali Rosti

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