La Rondine della Scala apre le celebrazioni pucciniane

Data:

Al Teatro alla Scala fino al 20 aprile 2024

Opera in tre atti su libretto di Giuseppe Adami, fu originariamente concepita come operetta, avendo il musicista lucchese sottoscritto un contratto con gli impresari del viennese Carltheater, dove forse Puccini sperava di riuscire a bissare il successo di un lavoro di Lehar o di Strauss. Il compositore si rese subito conto del tipo d’impianto drammatico che i librettisti Reichert e Willner avevano concepito per questa creazione: insoddisfatto decise di trasformarla in un’opera vera e propria, affidando l’incarico al commediografo Giuseppe Adami, collaboratore più tardi per Il Tabarro e finalmente per Turandot. Puccini però, scarsamente convito dell’esito della trasformazione (cui va forse aggiunta la venuta meno dell’ispirazione) ebbe le sue responsabilità nell’inficiare il buon esito del lavoro, trascinando la composizione per due anni, tra ripensamenti vari. Sciolto ormai il contratto con la committenza austriaca per lo scoppio della I Guerra mondiale, La Rondine vide al Grand Théâtre di Montecarlo la sua prima il 27 marzo 1917, con esito festoso. Stessa accoglienza ebbe anche alla prima italiana al Teatro Comunale di Bologna, pochi mesi dopo, e così fu per il resto delle apparizioni non mancando mai un lieto successo: anche se mai veramente completo, neppure dopo le revisioni che Puccini apportò alla partitura originaria. Lentamente La Rondine sparve dai cartelloni dei teatri d’opera e le sporadiche riprese (alla Scala due sole apparizioni, nel 1940 e 1994 con Gavazzeni sul podio e Denia Mazzola protagonista) non hanno permesso di allineare questo lavoro al pari dei fortunatissimi titoli pucciniani. Effettivamente balzano subito all’evidenza le similitudini con altre opere pucciniane (quel Bullier ricorda tanto il Café Momus de La Bohème) e si è presi da un senso di già visto e ascoltato, massimamente il finale che rimanda dritto dritto alla Traviata di Verdi…Il Maestro Ricardo Chailly, da tempo impegnato in una ricognizione filologica delle opere pucciniane, propone una versione diversa da quella di Montecarlo del 1917, con un centinaio di battute in meno. Eccellente professionista qual è ha lavorato molto e studiato altrettanto e questo si sente nella resa complessiva del suono, nel governo della resta ritmica variegata e complessa, nello sbalzo di alcune sezioni orchestrali o di alcuni strumenti rispetto alla massa orchestrale, nella resa del tappeto musicale di gusto sinfonico, ma sempre di sostegno al canto. Il Direttore intesse e arabesca la partitura con ammalianti atmosfere poetiche, di cui satura la sala e avvince lo spettatore. La stessa perizia di lavoro avuta con l’orchestra l’ha tenuta con una disomogenea – per qualità e doti – compagnia di canto e se non fosse per il lavoro e la professionalità di Chailly, questo dato sarebbe apparso in maniera ancor più evidente. Mariangela  Sicilia mostra tecnica assolutamente sicura in preziose messe in voce, attacchi in pianissimo, acuti in smorzando fascinanti, esecuzione senza sforzo, suono radioso, concedendosi veniali irrobustimenti artificiali in qualche tuffo al grave. Credibile Magda per delicatezze espressive, quanto in vivacità teatrale, si diverte in scena col suo procace fisico; sviscera e gioca col personaggio in recitazione insinuante e leggera, dal capillare fraseggio. Il “suo” Ruggero avrebbe beneficiato nel prendere a prestito un po’ del portamento della “de Civry”, la mantenuta con la coscienza sporca, per sciogliere e dare un po’ di fascino al suo fraseggio. Matteo Lippi, è un Ruggero corretto, ma manca di quel lirismo che, con buon senso della misura, è necessario in taluni momenti dell’opera. Rigido nell’iniziale “Parigi!” diventa interprete un po’ più convincente nel prosieguo, in No! Non lasciarmi solo. Rosalia Cid è una Lisette esagitata dalla voce schiacciata in alto, meglio quando attacca piano gli acuti altrimenti spinti, tendente però sempre a sgangherare il fraseggio. Giovanni Sala è uno spiritoso Prunier, grillo saltellante in scena con gran disinvoltura, anche se la regista lo carica di ondeggiamenti gay, essere interprete sapido più nel fraseggio che nel canto. Rambaldo con la tanta voce di Pietro Spagnoli. Non più che funzionale il resto della compagnia di canto. Coro scaligero trascinante. La regista Irina Brook vorrebbe, con una sedicente messinscena moderna, eliminare la patina oleografica che solitamente accompagna La Rondine ma riesce solo a proporre uno spettacolo che strizza l’occhio all’avanspettacolo, infarcito di luci e colori, con barchette e ironiche onde del mare. E improbabili costumi, tra cui spiccano quelli eccentrici da “fanciulle in fiore”.

gF. Previtali Rosti

Foto Brescia e Amisano

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