Vivaldi e la pazzia di “Orlando”

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Teatro Comunale Pavarotti Freni di Modena, recita del 14 aprile 2024

L’Orlando furioso dopo il debutto veneziano del 1727, fu messo in scena in prima mondiale in tempi moderni al Festival Vivaldi al Filarmonico di Verona nel 1978 – celebrazioni del 300° anniversario della nascita del compositore veneziano – e si parlò a buon titolo di Vivaldi renaissance, ché rarissime erano state fin allora le proposte sceniche. Il Maestro Claudio Scimone, aprendo la strada alla (ri)scoperta della produzione drammatica del teatro d’opera di Vivaldi, ignorata per secoli, non aveva la pretesa – per sua stessa ammissione – che la partitura eseguita in quel tempo musicalmente così lontano, fosse di riferimento (era intervenuto con tagli e spostamenti di recitativi e arie) ma fosse un punto di partenza. Le cose sono oggi radicalmente cambiate, le conoscenze a disposizione molto più ricche e cresciuta nel frattempo una generazione di esecutori “storicamente informati”. Primo fra tutti il Direttore d’orchestra Federico Maria Sardelli (che può fregiarsi essere uno dei massimi esperti vivaldiani) cui si deve la nuova edizione critica dell’Orlando furioso (assieme a Alessandro Borin) del 2023. Sardelli completa con questo titolo la trilogia vivaldiana iniziata nel 2021 con Il Farnace, seguita da Catone in Utica. Per la prima volta in tempi moderni Orlando Furioso è stato eseguito rispettando l’originaria tripartizione con due intervalli che, affiancando un’esecuzione basata sulla nuova edizione critica, ha permesso di recuperare e mettere in luce particolari che si erano smarriti. L’estetica barocca obbliga ogni interprete a una personale fantasiosa creatività nell’ornamentazione del canto e richiede capacità d’improvvisazione, poiché non tutto era scritto in partitura. Il pubblico del tempo frequentava i teatri non solo per ascoltare la musica del compositore di turno ma anche, e molto, per essere meravigliato dall’inventiva di macchine teatrali, dallo sfarzo delle scene, desiderando infine d’esser travolto dal virtuosismo canoro dei solisti. Antonio Vivaldi lavora all’Orlando (non furioso, benché nel manoscritto vi compaia la dicitura) sin dal 1714 operando rielaborazioni che hanno portato alla versione definitiva del 1727, tenutasi al Teatro Sant’Angelo di Venezia (di cui Vivaldi era impresario) già ricco di una storia stratificata: il precedente intervento vivaldiano nella collaborazione per un’opera di Ristori, compositore minore, cui si aggiunsero poi personali imprestiti di un successivo lavoro. In scena si dispiega il fantastico mondo suscitato dal capolavoro di Ludovico Ariosto, cui Antonio Vivaldi chiaramente s’ispira, ma il prete rosso sceglie di focalizzare la sua attenzione sul paladino Orlando pazzamente innamorato di Angelica. Sullo sfondo le vicende di Ruggiero e i sortilegi della potente Alcina, intrigante avviluppo di magia, affetti amorosi e imprese eroiche, esaltato dall’inventiva musicale vivaldiana in suggestiva e pregnante varietà di stili, capace di vestire il testo ariostesco – di straordinaria complessità e molteplici spunti narrativi – armoniosamente, intrecciandosi a formare una compatta struttura architettonica. Squadra che vince non si cambia. I Teatri Comunale di Ferrara e di Modena hanno affidato la cura di questa coproduzione nuovamente a Federico Maria Sardelli, Direttore dell’Orchestra Accademia Barocca dello Spirito Santo e a Marco Bellussi regista, dopo le valenti prove vivaldiane precedenti. In una scena fissa, di sobrie e delineate proporzioni, il regista fa di Alcina il motore dell’azione nel cui palazzo, in cui niente è definitivo, evolvono gli eventi e i personaggi trascinati dalle loro passioni. A ricreare intera l’estetica barocca, è stato chiamato un cast di cantanti che rende pregnante la fruizione del coltissimo libretto di Grazio Braccioli. Yuriy Mynenko è un Orlando d’imponente presenza, mostrando in quest’interpretazione una raggiunta maturazione. Voce di personale colore, buon squillo e soprattutto di omogeneità nei registri, fonde sagacemente i suoni bassi tenorili con quelli di controtenore. Fiati lunghi, sfuma, lega e preciso negli attacchi. Sfoggia una coloratura sgranata e adamantina; nella veloce vocalizzazione senza perdere in legato, sa evocare la potenza e l’agilità dei castrati nel loro magico artificio. Credibile interprete, vario d’accenti nelle tre diverse arie ed espressivo. Dà saggio delle sue possibilità tecniche in Nel profondo cieco mondo, aria eseguita in scioltezza e proprietà di coloratura nei rapidi staccati e di vocalizzazione di forza, coronata da variazioni appropriate. Rapinosa esecuzione nella turbinosa vocalizzazione eseguita con intensità e spessore, sia nel canto sia nell’espressione, dando valore al potere della coloratura quando usata a fini espressivi e non solamente edonistici. Non lo impensierisce Troppo è fiero, il nume arciero, a saggio di lunghezza di fiati e mostrando il cotè amoroso del timbro, sempre vibrante in alto, a trovare il giusto accento negli ariosi o nei recitativi accompagnati che seguiranno, di modernità sconcertante e sottigliezza psicologica. Infine l’altra grande aria di bravura, Sorge irato nembo in cui mostra nei tempi veloci il sapiente senso del ritmo e uso dei fiati, giostrando in belle variazioni la ripresa dell’aria. Pregnante fraseggio nella lunga scena nella caverna: Prigioniero! Chi parla? e sicuro negli impegnativi ariosi lo ti getto elmo, ed usbergo e Ho cento vanni al tergo Chiude il conclusivo e lungo arioso che lo impegna completamente Scendi nel Tartaro. Angelica era una sicura Arianna Vendittelli che all’aria di sortita Un raggio di speme, regala fluidità di vocalizzazione. Sognante e lunare Chiara al par di lucida stella dai languidi accenti in bella linea di canto, voce perfettamente sostenuta in bel legato. Teneramente amorosa nel duetto Sei mia fiamma, e sei mio bene. Patetismo ed eleganza in Come purpureo fiore languendo muore, si mostra stupita in Poveri affetti miei, siete innocenti. Brava attrice, di raffinata sensualità e ammaliatrice. Insufficiente Alcina Sonia Prina, che pur specialista del repertorio mostra imbarazzante utilizzo del mezzo vocale con continue prese di fiato che spezzano la nobiltà del legato, tuba le note basse a coprire un timbro impoverito, scurendo innaturalmente il registro grave. Il canto risulta così artefatto e le colorature, accennate o appiattite, non sono mai scintillanti e fluide, come in Alza in quegl’occhi. Amorose a’ rai del sole è resa con timbro vuoto e disomogenea voce, ricorrendo a improprie aperture di suoni. Letteralmente sopra le righe in Vorresti amor da me?  spianando costantemente la coloratura. In Così potessi anch’io non sa raggiungere la stilizzazione del canto barocco, la voce non è più sostenuta e oscilla, a palese contrasto con la leggerezza che si ode in orchestra. Naufraga nel conclusivo Anderò, chiamerò dal profondo senza mostrarne appieno la forza drammatica. Si fa valere come attrice in scena, nella consumata frequentazione del repertorio e con un fraseggio insinuante. Medoro modesto di Chiara Brunello, di timbro non particolarmente avvincente; Tu sei degli occhi miei, di tessitura troppo bassa, mostra carenza di spessore sfiorando il parlato, ma pur difendendosi nella vocalizzazione.  In Rompo i ceppi e in lacci io torno schiaccia e spiana la coloratura, e Qual candido fiore è resa con scarsa leggerezza di canto sul fiato, per giungere al momento migliore in Vorrebbe amando il cor. Bradamante dal bel costume rosso e capelli ramati era Loriana Castellano dal brunito timbro, che pur la costringe ad arrotondare artificialmente in basso (Asconderò il mio sdegno). Tanto impetuosa in Taci non ti lagnar quanto sicura e scintillante nell’aria di paragone Se cresce un torrente in cui sfoggia il meglio della sua capacità di vocalizzare. Abusa di suoni poitrinè in Io son ne’lacci tuoi. Ottimo Ruggiero di Filippo Mineccia cui tocca una delle arie più patetiche dell’opera, Sol per te mio dolce amore in gara di bravura ed espressività con il flauto, raddoppia il fascino e l’intensa magia musicale che in quel momento il flautista va operando, sfoggiando squisite finezze e smorzature; solido nel registro grave, mostra gusto e proprietà nella precisa coloratura e perfetto dosaggio dei fiati, con bel legato. Di gusto le semplici variazioni. Commovente in Che bel morirti in sen. Mauro Borgioni offre ad Astolfo un bel timbro brunito e possente, che sa piegare in Costanza tu m’insegni a una vocalizzazione capace di rendere il godimento del canto barocco; ben destreggiandosi in Benché nasconda la serpe in seno mostra però suoni aperti nel registro grave in Dove il valor combatte. Timbri pastosi e scintillanti resi dall’Orchestra Barocca Accademia dello Spirito Santo diretta da Federico Maria Sardelli, in perfetta brillantezza di suono e pulizia di ritmo. Trascinante direzione cui ci ha abituati il grande esperto del repertorio barocco, sostenitore e appassionato di Vivaldi che travasa in tensione orchestrale la sua bruciante passione.  Con un gesto armoniosamente netto e personale, Sardelli ottiene affascinanti riscontri dall’orchestra di strumenti originali in adesione partecipe nel rendere la ricchezza della tavolozza orchestrale vivaldiana: suscita tensione e pathos con spiccato senso teatrale, unito a proprietà stilistiche. Ottimo concertatore, mostra perfetta intesa con i cantanti, che serve al meglio. Corretti gli interventi del Coro Accademia dello Spirito Santo, diretto da Francesco Pinamonti. Intelligente allestimento di Matteo Paoletti Franzato che, unitamente all’efficace regia di Marco Bellussi, sa creare un’intensa atmosfera, agìta profondamente quanto essenziale nei pochi elementi che pur riempiono la scena, sapientemente dosati e usati. Luci di Marco Cazzola, quale elemento imprescindibile alla magia creata dallo spettacolo. Il regista ben conscio dell’idea di come far teatro, ricorre a intuizioni usando al meglio le potenzialità tecnologie dei video di Fabio Massimo Iaquone, non avulse dal dettato teatrale e indirizzate dal senso della “meraviglia” barocca. Completano il quadro i fascinosi costumi di Elisa Cobello che trasformano Angelica in una sofisticata Audrey Hepburn (cui manca solo il bocchino) e Alcina in una maitresse vagamente dark. Successo caloroso per tutti, da un pubblico attento partecipe e festante. con ovazioni per Sardelli.

gF. Previtali Rosti

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