Il “Parsifal” di Filiberti: un’opera d’Arte totale

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Il Parsifal di Marco Filiberti è certamente una creazione filmica del tutto particolare nel panorama italiano e non solo. Si tratta di un vero prodotto internazionale, dove il regista è riuscito con successo, sulla scia di Wagner, a dare luogo a un’autentica opera d’Arte totale, in cui musica, teatro e Arte si fondono, dando luogo a un insieme eccezionale. Più che a un film, somiglia a un melodramma, per le scene e anche per i movimenti dei personaggi, che si fanno scultorei, in un complesso visionario onirico ben congegnato, che in parte ci riporta alla poetica felliniana.
Impossibile parlare della trama di una vicenda così complessa, dove si assiste dall’inizio alla fine a una lotta tra contrasti: carne e spirito, vita e morte, luce e ombra. Questo si ripercuote anche nella scenografia, che a tratti si fa tetra, a tratti si tinge d’una atmosfera festiva. Si tratta di una storia senza tempo, dopo si passa con nonchalance dall’ambientazione romana antica a quella che potrebbe essere della Parigi d’inizio Novecento, con tanto di personaggi che danzano al suono di brani charleston e ragtime.


Il tutto per indagare una tematica profonda, che è quella della ricerca della purezza e della fede, a costo di lottare contro i desideri carnali, a costo di lottare contro la morte stessa. Alla fine la luce lascerà le tenebre, quando il protagonista, l’ottimo e intenso Matteo Munari, potrà finalmente interfacciarsi con il Cristo Crocifisso, trovando quella sacralità tanto agognata.
Grande prova anche dell’altra protagonista al femminile, Diletta Masetti, che interpreta la sensuale e carnale Kundry, una sorta di Maria Maddalena, che trova la fede e la purezza attraverso i suoi peccati e la spiccata femminilità.
Il tutto si muove in un’atmosfera sospesa, come se fosse cristallizzata, ferma nel tempo. Quella di Filiberti è più un’opera di poesia che di cinema, un’opera che più di dare risposte lascia con delle domande esistenziali. Sicuramente è un percorso verso la ricerca della fede, tramite l’accettazione di tutto quello che noi chiamiamo “Male”. Ma, dopotutto, e questo ce lo dicono i taoisti, non è forse verso che Bene e Male sono perennemente abbracciati e che non potrebbero vivere indipendentemente, proprio perché entrambi possono emergere solo grazie al loro contrario? Tutto è Uno, spiegano i taoisti, e non esiste distinzione. Il cosmo va semplicemente accettato per ciò che è. Ed ecco che alla fine il protagonista trova quella luce che gli permetterà di trovare un senso di serenità e anche di scoprire la sua vera identità, ma questo solo dopo avere provato e visto tutte le brutture della vita: è dalla sofferenza che nasce la Salvezza di Dio.

Stefano Duranti Poccetti

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