L’innovazione del teatro moderno con i copioni nella denuncia della supponente ed altera società aristocratica in ”Il marito beffato” con Sergio Ammirata

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Al Teatro Anfitrione di Roma, fino al 19 gennaio 2020

La caratteristica delle commedie è quella di trasporre sulla scena i tipi variegati dell’umanità affinché gli spettatori riflettendosi in loro possano rimuovere i loro difetti e sviluppare i  pregi, le virtù, innate. Questo fu l’intendimento dei valenti letterati Molière e Goldoni che, prima in Francia e poi nel settecento illuminista in Italia tolsero le maschere ed i canovacci alla base dell’improvvisazione nella commedia dell’arte nel ‘500 per introdurre i personaggi e farne un lavoro a sfondo etico. Dal sommo creatore della commedia transalpina è stato ripreso: George Dandin, che il geniale capocomico della cooperativa “la Plautina”ha liberamente riadattato, dedicandolo alla sua immaturamente scomparsa compagna di vita e palcoscenico Patrizia Parisi,relegandosi il cammeo principale del possidente agrario Zeferino. Questi ci ricorda il “mastro don Gesualdo”del borghese verista G. VERGA che con il personaggio dell’arricchito volle mostrarci come un orgoglioso parvenu possa arrivare a perdere tutto, persino l’onore, per la voglia di fregiarsi d’un titolo nobiliare. Ecco allora che l’intrepido e laborioso agricoltore sposa Solange, interpretata da una bella e vanitosa, subdola, nella sua parte ANNACHIARA MANTOVANI, che, figlia del conte di Southeville Erminio e della dama Ombretta, resi rispettivamente da F. Madonna e P. Caligiore con arroganza aristocratica, lo rende becco cedendo alle profferte del mondano nobile PORFIRIO, nei cui panni si cala con proterva sfacciataggine fedigrafa D. SARTORI. Inutilmente il buon ZEFIRINO avanza le sue rimostranze ai conti che alimenta finanziariamente, per cui con sua profonda meraviglia viene preso per un millantatore e calunniatore di buoni costumi araldici. Molto più tranquillo è il rapporto tra la serva ruffiana Petronilla ed il contadino pettegolo e spione E. Crispino dati rispettivamente con questa immedesimazione nei loro ruoli da M. Buoncristiani e G. Goitre, che evidenziano come chi s’accontenta gode e non deve dannarsi l’anima per vivere in amore e pace. ZEFERINO DINDAROL fa proprio la parte del fesso senza prove, che non riesce mai a concretizzare seriamente,come avviene al povero Gesualdo che sul letto di morte nel palazzo dei duchi di LEYRA viene a sapere che Isabella non è figlia sua ma di Bianca e del cugino Ninì Rubiera.La superba e spiantata nobiltà,a cominciare dal seicento barocco in poi,non è mai stata disponibile alla riforma delle classi e trasformazione sociale con l’integrazione delle diverse componenti,come dimostra ”Il gattopardo” di Tommasi di Lampedusa con la nota espressione ”tutto cambi perché nulla muti”. Bene ha fatto il talentuoso AMMIRATA a risottolinearlo per la comune riflessione e fino al 19 Gennaio.

Susanna Donatelli e Giancarlo Lungarini

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