Roma, Teatro Ghione (via delle Fornaci 37). Dal 20 al 30 aprile 2016
Aspettando Godot, è teatro di virtuosismi. Questo concetto, suggeritomi da un’attrice in sala alla prima dell’opera di Beckett al Teatro Ghione di Roma, per la regia del bravissimo Claudio Boccaccini, mi ha fornito lo spunto per ragionare su quanto visto. Del resto, sarei bugiardo se dicessi di conoscere bene le dinamiche di questo tipo di teatro, che pure ha rivoluzionato, con il suo astrattismo, la storia dello stesso. Se non altro, ne ha smontato ciò che si riteneva intoccabile ai primi del Novecento. La tragicommedia imbastita sulla condizione dell’attesa è, più che per lo spettatore, palestra per l’attore chiamato a restituire un significato all’apparentemente insignificante. L’eterna attesa dei poveri clochard Vladimiro ed Estragone, Didi e Gogo (Pietro De Silva e Felice Della Corte) è l’attesa dell’uomo di ogni tempo, l’attesa di un senso che vada incontro a loro (a noi). Non sono casuali i sottili riferimenti biblici nel testo. Il senso del grottesco del tempo stesso, che continua il suo cammino anche se nulla accade in scena. Il giorno, il crepuscolo, la notte. Il linguaggio teatrale messo alla berlina, le pause, i silenzi. Citazioni alte e imprecazioni scurrili, giri di parole inconcludenti, comicità, filosofia e cabaret. Smontare e rimontare il teatro. Il gioco del teatro, del recitare. Del vivere, “soli, nel cuore delle solitudini”, circense e insensata esistenza umana. E “in questa confusione, noi aspettiamo Godot”.
Non accade niente si sa, non c’è niente, tutto è privo di senso e quindi c’è tutto, nel nichilismo Beckettiano. Gli attori in scena, diretti con un tocco di poesia da Boccaccini, bene incarnano i personaggi stralunati che, pur facendo sorridere, non comunicano niente al di fuori del nulla che rappresentano. Ci sono, non ci sono, esistono, non esistono. Incapaci, nel caso di Estragone e Vladimiro, anche di tirarsi fuori da quella infinita e ciclica tragedia con il suicidio. Pietro De Silva, Felice Della Corte, Riccardo Bàrbera (bravissimo nel dare colore al suo Pozzo) e Roberto Della Casa (Lucky), fino al ragazzo, messaggero di Godot (Francesca Cannizzo), ci mettono l’anima nel tentativo di mettere in scena con la necessaria leggerezza e poetica tutto questo niente. Sapendo bene che Godot non arriverà mai. Il teatro dell’assurdo può piacere o no. In questa edizione, senza togliere meriti agli altri, Pietro De Silva e Riccardo Bàrbera ne portano alto il vessillo. In scena fino al 30 aprile.
Paolo Leone