Nell’articolo “Un’estate italiana. La musica racconta i sogni di un goal e momenti storici e culturali” ho cercato di sottolineare che nel gioco del calcio rientrano i sogni e i sentimenti dell’individuo; allo stesso tempo ho parlato del nostro Paese, di un suo momento storico descritto dalla citata canzone cantata da Nannini – Bernato, interpreti del testo di Giorgio Moroder, in cui, come vuole la tradizione di un certa canzone italiana, si descrive un mondo fantastico e perfetto. Oggi voglio toccare lo stesso argomento, non ponendo però come protagonista del mio articolo la musica, bensì la pittura, in particolare modo quella di Carlo Carrà, parlando del suo dipinto “Partita di Calcio” del 1934, dove l’artista fa un omaggio alla vittoria dei Mondiali di Calcio del 1934 da parte della Nazionale Italiana, guidata da Vittorio Pozzo. Carrà in questo suo dipinto coglie l’azione in un momento concitato: si tratta di una mischia in area, con il pallone che finisce vicinissimo alla porta mentre gli attaccanti saltano per colpirlo di testa e il portiere si slancia nel tentativo di arrivare per primo sulla sfera. Notiamo che tutti i protagonisti dell’attimo colto da Carrà puntano ovviamente a colpire la palla, per farla giungere all’obiettivo prefissato, cioè fare goal. Allo stesso tempo mi sembra che l’artista raffiguri i protagonisti pronti a tutto per raggiungere quel traguardo, presentati ognuno in tutta la propria energia e la propria forza. Di conseguenza, ci troviamo di fronte a degli obiettivi, a dei sogni, a un grande entusiasmo e allo stesso tempo alla non facilità di segnare la rete… proprio come accade un po’ nella vita di ognuno di noi, che potremmo vedere come una partita di calcio.
Nel dipinto di Carrà appare che da un lato sia evidenziata la complicità e la collaborazione da parte dei personaggi per raggiungere il risultato, anche se allo stesso tempo sembra che quell’obiettivo per un attimo superi quella collaborazione, nel senso che in quel momento non è più il gioco di squadra a essere fondamentale, o meglio non solo, ma soprattutto quella palla da colpire per la vittoria. In questo senso non importa chi colpisce per primo il pallone, ma l’importante è che esso finisca dentro la porta. Quindi parliamo di un gesto comune a tutti, che grazie alla collaborazione deve essere consolidato in quel preciso attimo, che il pittore ha deciso di cogliere con grande spettacolarità. Direi anche che il Carrà raffigura un gioco che non è solo un gioco, ma anche una metafora dell’anima umana; è come se in quell’azione calcistica si puntasse a soddisfare un bisogno che viene richiesto da ogni singola anima umana, visto che non parliamo soltanto di una soddisfazione per i soli giocatori, manche di un popolo intero. Si tratto di un obiettivo per raggiungere un senso di vita, un goal che ci faccia sentire soddisfatti di aver raggiunto qualcosa di cui abbiamo bisogno, un qualcosa allo stesso tempo che si raggiunge solamente unendo le forze, formando un cerchio, un’unione in cui ognuno mette il suo potenziale. In questo contesto i sentimenti di ognuno si uniscono, in un tutt’uno in cui “Insieme si sta bene, insieme si lavora bene, si costruisce meglio e si è felici”. Ciò ci dovrebbe far riflettere molto e dovrebbe farci chiedere il perché oggi non siamo felici, il perché siamo pieni di stress e depressioni, il perché esistano i mali della società.
Infine, nell’opera non si sa se a vincere sarà il portiere o saranno invece gli attaccanti. Il pallone resta sospeso a mezz’aria, quasi come un’apparizione metafisica, che cattura sia l’attenzione dei giocatori impegnati in campo, sia quella dell’osservatore esterno, cristallizzando in un unico “fermo immagine” il simbolo stesso del gioco del calcio: la rincorsa, la cattura, il possesso della palla.
Giuseppe Sanfilippo