E venne il giorno del leccaculo per niente

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Umberto Eco da una posizione un po’ elitaria e ieratica anche se culturalmente comprensibile definì come noto il web  come l’asilo dei deficienti. Personalmente non sono d’accordo sul fatto che l’intellettuale debba tenersi alla larga, anzi: oggi la sua funzione è, al contrario di quanto sosteneva Eco (ma poi sotto falsa identità il Professore  partecipava di tanto in tanto ai social), quella di intervenire per diffondere qualche barlume. Non dirò di verità, perché nessuno può dire di esserne in possesso, ma se non altro di elementi per un confronto. Si tratta in sostanza di seguire un percorso maiuetico cercando di non incazzarsi: perché dall’altra parte avrai sempre qualcuno che, messo di fronte alle sue contraddizioni, comincerà prima a spazientirsi, poi ad inveire, quindi ad insultare e alla fine a bannarti. Il segreto è solo quello di tenere la comunicazione aperta il più a lungo possibile per influenzare i suoi amici e gli altri partecipanti al dibattito. Che cominciano a dividersi contemporaneamente alla crisi isterica che coglie il soggetto messo sotto pressione. Io mi diverto così e senza offendere ma controproponendo tesi divergenti porto alla rottura da parte della mia cavia, ma anche alla presa di coscienza di poveri malcapitati che tendenzialmente credono a tutte le falsità, imprecisioni, errori che girano in rete.

In tutto questo mio slancio però non ho fatto i conti con un brutto cliente, una nuova strana razza di animale da salotto che si aggira sui social: il cavalier servente del potere, il lacché o lecchino del ministro o ministressa che dir si voglia, il servo di scena, il portaborse in pectore, il cortigiano al servizio di chi comanda, il cane in attesa che cada l’osso dal tavolo dei potenti… e potrei continuare all’infinito nel definire questa categoria di propagandisti del pensiero dominante.

Mi si può chiedere: che c’è di nuovo? E’ una categoria umana quella dello zerbino che non ha tempo, non ha patria, è trasversale alle ideologie, si schiera sempre col più forte, è il megafono e la grancassa del  Principe. Costantemente pronto a cambiare bandiera a seconda del vento che tira, o a rivoltare la casacca come avvenne a Curzio Malaparte e a Elio Vittorini che ci misero non molto nel passare dal fascismo all’antifscismo e al comunismo, il fenomeno è descritto anche nelle commedie di Shakespeare, di Moliere e di Goldoni.

Eppure qualcosa di nuovo bolle in pentola: il novello leccaculo si sporca la lingua senza neppure sapere  se gli sarà allungato quealche resticino del pranzo, qualche privilegio, qualche briciola. Mentre prima  il cortigiano voleva esere ricevuto a corte per prestare i propri servigi di opinion maker,  oggi si tratta di un cane sciolto pronto a leccare la mano del padrone: ecco infatti che   comincia a scodinzolare quando il padrone è ancora lontano per far capire che non ha intenzione di sbranarlo. Tutt’altro. Lo vuole slinguacciare con o senza ricompensa. Per ricompensa basta la mano allungata da leccare.

L’immagine del comportamento animale del cane che manda segnali della sua sottomissione per essere accolto con benevolenza è proprio il classico esempio che ci vuole per descrivere il comportamento di questo nuovo bestione da salotto social: lui posta in rete  (scodinzolando) tre quattro volte al giorno a favore del padrone nella speranza che il padrone si accorga di lui. Guaisce e manda segnali, messaggi nella bottiglia della rete, non tanto per ottenere una piccola contropartita, una cuccia magari in un teatro stabile, qualche piazza pagata, un ingaggio o qualche partecipazione ad uno sceneggiato tivvù – Dio sa solo  che cosa  possa agognare un simile individuo, probabilmente non mira neppure a  un favore professionale, ma forse – ed è tragico – solo per ricevere una carezza affettuosa. E si arrischia perfino a definire la sua inclita natura da codino con un parolone: disinteresse. Lui lo fa disinteressatamente il mestiere di VOTANTONIO.

Purtroppo il cortigiano di oggi  agisce sui social ed  è difficilmente attaccabile perché nel campo della mistificazione è un maestro di contorsioni e poi si definisce come dicevo “disinteressato”, quindi apparentemente al di sopra delle parti: il servo che prima  stava a corte sapendo di esercitare il mestiere di lacché  per mera sopravvivenza possedeva un minimo di dignità: sapeva di mentire col mentolo, come diceva un Carosello di tanti anni fa. Ma il nuovo lacché ha fatto dell’inciucio e del finto arzigogolo  il suo credo spirituale: si sente a suo agio nell’imbroglio, sguazza nel fango, più torbido è meglio è. E spara immani cavolate.

Costui purtroppo considera la sua tendenza al raggiro culturale non per una furbata volta a sbarcare il lunario, come Arlecchino,  ma come una professione di fede: il plasma del servo ce lo ha nel sangue così come il cane ha nel suo DNA l’istinto di servire il padrone. Anche se questi lo picchia e lo affama: la povera bestia amerà sempre e comunque il padrone, pur non venendogliene niente. Meno di niente. Basta che sia il padrone.

Allora perché lo fa, è la domanda del secolo. Per niente,  appunto, è la risposta: solo per darsi delle arie da scolaretto saputello, dire agli altri che sono scemi, fare il primo della classe, mettere tutti dietro la lavagna, scrivere i nomi di buoni e cattivi e aspettare che il Maestro al ritorno in classe finita la ricreazione gli dica: bravo!

E bravo disse il Duce a Curzio Malaparte che, quand’era ancora fascista,  scriveva queste melense baggianate:

non si può fare il ritratto di Mussolini senza fare il ritratto del popolo italiano. Le sue qualità e i suoi difetti non gli sono propri: sono le qualità e i difetti di tutti gli italiani. Il dir male di Mussolini è legittimo: ma è un dir male del popolo italiano.(…) La sua voce è calda, grave, eppur delicata. Una voce che talvolta ha strani, profondi accenti femminili, un che di morbosamente femmineo. (…) Stringeva nella mano una rosa color carne. Mussolini ha sempre una rosa stretta con delicatezza nel pugno.

Ma Malaparte non si sprecava aggratis, non si accontentava di una carezza o di una pacca sulle spalle: voleva la direzione di un giornale (fino al 1929 fu direttore della Stampa di Torino).  Ed anche quando cominciò la marcia indietro finito l’effetto della  Marcia su Roma fu sempre abile a trattare e a proporsi in giro, da novello antifascista perfino a Ciano che gli procurò la collaborazione al Corriere della Sera… Beh, lui almeno a differenza dei nuovi cortigiani sapeva ottenere quel che  voleva.

Purtroppo finita la stagione dell’intelettuale organico, passata anche quella del portaborse prezzolato, del cortigiano di professione  è cominciata l’era del leccaculo dilettante che parla, posta, condivide e commenta per dare un senso alla sua indole servile. Non si vende e non si compra. il cane cambia casa, cambia guinzaglio ma non cambia mai padrone: il potere.

 Enrico Bernard

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