Dal 17 novembre al 5 dicembre 2016 al Teatro i di Milano
Un manichino donna, senza testa e con un ricco vestito, regge tra le mani in grembo una testa con la barba. La testa si anima e parla: Erodiàs inizia il suo lungo, tormentato monologo. Già dalla immagine fortemente simbolica della scena iniziale la regia di Renzo Martinelli fa balenare la complessità dell’Erodiàs di Testori.
Erodiade, perdutamente, furiosamente e molto carnalmente invaghita del profeta Giovanni Battista gli si offre, ma viene ferita nel suo orgoglio dal suo rifiuto. Istigherà per questo la figlia Salomè a chiedere e ottenere dal padre Erode la testa del profeta.
Lo spettacolo tratto dal secondo dei tre Lai (lamenti funebri di donne sul corpo dell’uomo amato) di Testori, in scena al Teatro i di Milano, mette in scena il lacerante, ossessivo delirio di Erodiade che, ottenuta la vendetta, è tuttavia tormentata nell’animo da Giovanni Battista di cui continua a percepire dolorosamente la presenza. Vive e grida la contraddizione non risolvibile tra la drammatica urgenza del proprio desiderio carnale e la imperscrutabilità, la incomprensione del verbum, dei messaggi di amore del profeta. La sua presenza non la abbandona e non le lascia tregua, sfiancandola in una serie di interrogativi senza risposta che la proiettano in un doloroso limbo sospeso.
Giovanni Battista è come penetrato in lei. A questo forse accenna l’immagine della prima parte dello spettacolo, quando Erodiàs ne “assume” la barba.
E’ un intenso assolo in cui Federica Fracassi (insieme con il regista Renzo Martinelli, fondatrice del Teatro i), ininterrottamente in scena per più di un’ora, di dispiegare un ampio spettro di registri recitativi, di toni, di intensità, di posizioni sulla scena, di sentimenti sempre vivi e laceranti.
L’ampio vestito della scena iniziale viene via via abbandonato, per lasciar posto a una sensuale nudità (simulata), simbolo per Testori della purezza assoluta e, nel contempo, dello smarrimento.
Per lo spettatore medio, non particolarmente abituato alle tematiche e al linguaggio di Testori, lo spettacolo si rivela in più tratti ostico. Il linguaggio, che a volte richiama il grammelot, usa “parole che contengono in sé la potenza della teatralità” e che “trasformano e trasfigurano gli attori”, secondo Andrée Shammah, che così ha commentato lo spettacolo. E’ un linguaggio tuttavia, non di immediata e semplice comprensibilità, che ci spinge a suggerire vivamente una lettura anticipata del testo, per meglio coglierne le potenti sfaccettature.
A maggior ragione, dunque, la complessità su più livelli interpretativi del testo sottolinea la intensa performance attoriale di Federica Fracassi, non nuova a sfide teatrali di grande coraggio.
Guido Buttarelli